Il mestiere del critico
LE MISANTHROPE: TRAGICOMMEDIA DELL’AMOR NEGATO
Foto: A. Parriniello
Di scena al Teatro Stabile di Catania. Regia di Giovanni Anfuso. Con Rosario Minardi, Giovanna Di Rauso
“Ormai detestate l’umana natura…”
“Sì, per me è una spaventosa sciagura”
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In queste due battute della più amara delle sue commedie di Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière, “ Il Misantropo” in scena al Teatro Verga di Catania, si concentra l’essenza della filosofia del protagonista , Alceste. L’innamorato infelice è un isolato, in un sistema sociale ipocrita, che rispecchia la sua infelice storia d’amore, a sua volta specchio del suo ormai infelice rapporto con il mondo.
In questo crudele gioco di specchi il Misantropo (un misuratamente aspro Rosario Minardi) critica tutto e tutti, compreso se stesso: sfida il sistema e sfida la vacuità di un amore inconsistente. I rapporti sociali improntati alla sincerità? L’amore vissuto con onestà e trasparenza? Illusione.
Eroe solitario di questa celebre e amara vicenda, caparbiamente combatte la sua inutile battaglia, fino alla sconfitta estrema. Coevo del Don Chisciotte, il protagonista del Misantropo incarna la sconfitta di quei valori che nella società del tempo tramontavano inesorabilmente, e che oggi appaiono definitivamente abrogati. Allora lealtà, coraggio, onestà, lasciavano il passo alla società delle corti e degli inganni, delle stucchevolezze e dei pettegolezzi. Oggi nelle “corti” del nostro tempo il Vacuo, il Fatuo e il Falso, trionfano incontrastati, sottomessi al Potere economico, finanziario, imprenditorial-temerario. Un tema essenziale, che rende questa amara commedia assolutamente valida e significativa, e più che mai attuale.
A incarnare questo sistema sociale corrotto e bacato è Cèlimène, (il cui cinismo è efficacemente reso dall’algida Giovanna Di Rauso) ricca, giovane, corteggiata signora dell’alta società parigina, con le sue smanie seduttive, il suo glamour, le sue cene sontuose, i suoi irrinunciabili spasimanti, inutilmente amata da Alceste/Molière che vorrebbe da lei un cambiamento. La donna/ società, cinicamente, gli volterà le spalle.
Chiara metafora della crisi del commediografo francese, del suo impossibile inserimento in un sistema sociale rappresentato in questa pièce dai salotti parigini, la cornice in cui il regista ha chiuso il dolore e la tetraggine di un uomo in cui Molière adombra se stesso, il teatro e la sua funzione educatrice. Ma il mondo non cambia. Il suo teatro di denuncia sorridente qui si fa disperata accusa senza appello.
Originariamente 5 atti in versi, rappresentata la prima volta nel 1666, in questo adattamento di Anfuso del capolavoro sono stati privilegiati brevi quadri dialogici e (per contrasto?) giganteschi quadri scenografici, in un succedersi di microscene dove Alceste disputa incessantemente: con il suo alter ego, l’amico Philinte, più indulgente sull’opportunità dell’ipocrisia nei rapporti umani, contrario all’intransigenza dell’amico; con Cèlimène, da lui incredibilmente amata, che rappresenta esattamente ciò che aborre, così vacua, civettuola, menzognera, ipocrita e vanitosa.
Eppure egli ne è inesorabilmente attratto, pur rimproverandole l’ ambigua condotta che non apprezza; con tutti gli altri fatui personaggi, cercando speranze di sincerità e onestà, ma inutilmente.
Crudamente sincero anche nel denigrare i brutti versi di Oronte, stolto vanitoso che lo trascinerà in tribunale, l’integerrimo Alceste scoprirà una lettera della sua amata al bellimbusto. Disperato di fronte all’evidenza dei fatti, smaschera la civetta, che non si mostra pentita, anzi ribadisce la sua libertà di condotta. Intanto giunge notizia che egli ha perso una causa e lo cercano per arrestarlo.
Disgustato da tutto, sconfitto nelle sue inutili battaglie, schiacciato da un sistema ottuso e crudele, ferito nell’amore e nella convivenza sociale, deciderà di allontanarsi per sempre in solitudine.
La sconfitta di Alceste è la sconfitta di tutti noi di fronte al degrado nel quale accettiamo di vivere. Un riscatto è possibile? E’ sufficiente allontanarsi e isolarsi per salvarsi? Dove? In che modo? E che salvezza sarebbe rimanere soli, al di fuori delle relazioni sociali, senza affetti e amore sincero, l’unica realtà per la quale vale veramente la pena vivere?
Forse sarebbe una via cercare dentro di noi la forza e la fede per andare ancora una volta incontro a relazioni possibili. Isolarsi serve a poco. Aggiungeremmo sofferenza a sofferenza. Forse Molière con il suo grottesco finale voleva aprire una porta in questa direzione.
Ci piace immaginarlo.
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“Il Misantropo” di Molière Adattamento e regia Giovanni Anfuso Scene Alessandro Chiti Costumi Riccardo Cappelli Musiche Nello Toscano Coreografia Amalia Borsellino
Luci Salvo Orlando Produzione – Teatro Stabile di Catania
Con : Rosario Minardi – Sebastiano Tringali – Giovanni Argante – Giovanna Di Rauso -Luana Toscano- Barbara Gallo -Angelo D’Agosta- Davide Sbrogio- Daniele Bruno- Giovanna Chiara Pasini- Eleonora Sicurella- Edoardo Monteforte- Giuseppe Aiello
Al Teatro Giovanni Verga di Catania