Il mestiere del critico
UNA VITA NORMALE
“L’avenir-Le cose che verranno” di Mia Hansen-Love
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Mia Hansen-Love, trentaseienne nata al cinema prima come attrice, in seguito come regista (e per contiguità anche come compagna del noto cineasta Olivier Assayas) giunge con questo suo quinto lungometraggio a soggetto, L’avenir-Le cose che verranno, già premiato a Berlino 2016, alla pienezza espressiva di un film ove, la realtà della vita si prospetta, inizialmente, come un solco esistenziale in cui alcuni personaggi compaiono nella loro effettuale semplicità contingente e, quindi, per una serie di fatti accidentali si indirizzano (anche loro malgrado) verso approdi, emozioni ben altrimenti significativi, ma sempre in una sfera di situazioni di rinnovata valenza morale.
C’è, inoltre, da sottolineare che L’avenir… è basato su una solida sceneggiatura, elaborata dalla stessa Hansen-Love, incardinata alla figura spiccata di Nathalie (ancora una caratterizzazione magistrale di Isabelle Huppert), insegnante di filosofia in un liceo parigino, che in procinto di andare in pensione sulla soglia dei sessant’anni, un po’ disamorata ormai degli “astratti furori” giovanili (in divario marcato coi suoi studenti), punta tutto sulla probità del suo lavoro e sulle consuetudini acquietate col marito, anch’egli professore di filosofia nel medesimo liceo, e sulla convinzione primaria di insegnare ai giovani “a pensare con la loro testa”.
Tutto ciò in un ordito di giorni, di avvenimenti sempre prevedibili e inalterati. Oltretutto, Nathalie madre di due figli coi quali coltiva un rapporto perennemente precario vive in tal modo una normalità serena col solo intento di percorrere al meglio un destino inevitabilmente scontato.
Fintanto che sopravvengono alcune turbatrici novità. Anche palesemente sgradevoli, come l’improvvisa infatuazione del marito per una donna più giovane e la conseguente constatazione da parte di Nathalie di uno spossessamento della propria stessa esistenza, ora disertata di un rapporto che pensava inalienabile. Tanto da esclamare più sbalordita che offesa verso il marito fedifrago: “Pensavo che mi avresti amato per sempre, che cogliona”. Per giunta, in tale sgradevole condizione, la pur svagata madre di Nathalie come l’irrilevante padre vengono meno, forzando la professoressa al rinserrarsi in uno stoico criterio di giudicare il mondo, le cose, tutto ciò che la circonda come un esclusivo portato della normalità del vivere semplicemente, senza slanci o proiezioni di alcun tipo.
Frattanto, anche in questa sua nuova strategia minimalista Nathalie incorre in mortificanti altre esperienze come la soppressione dei progettati saggi filosofici e il diradarsi di occasioni di incontro di nuovi amici, se non la maldestra intrusione (con banali velleità affettive) di un giovane ex-studente e, in subordine, di un consolatorio gatto nero. Tutto però, per la pragmatica professoressa, si risolve in una volitiva linea di condotta fatta di quiete, di accettazioni solamente refrattarie.
Film dai connotati precisi, sicuri, L’avenir… si dimostra – grazie alla carismatica autorevolezza di Isabelle Huppert – un racconto a tesi non meccanicamente concepito e attuato, ma ben altrimenti una sorta di apologo antiretorico, sobriamente argomentato sulle radicali pulsioni, sui momenti cardine di qualsiasi esistenza. E ancor più di ogni storia sentimentale apparentemente risolta in abituali novità e, in effetti, ribadita con situazioni, vicende il più delle volte precarie, sommamente aleatorie. Si tratta, insomma, di un’opera intensamente ispirata e altrettanto compiutamente riuscita. Non è poco, per i tempi che corrono. In poche parole la decalcomania di una vita normale.