50 anni dopo
TUTTO TOTO IN UN SOLO FILM
Rossellini, prima di Pasolini, ne esaltò il genio tragicomico
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Parlare di Totò, soprattutto oggi, a 50 anni dalla sua morte, è forse la cosa più facile da fare e persino la più ovvia, anche se ugualmente doverosa. Chi scrive, per ragioni anagrafiche, ha conosciuto Totò solo sullo schermo, cinematografico e televisivo. E allora il “dovere” di scrivere su Totò diventa felice occasione di riflessione quando tornano alla mente le sue genialità filmiche, figlie di esperienze spurie che vanno dal surrealismo, alla metafisica, fino all’assurdo e alla parodia.
La comicità che ne scaturiva era l’unico collante plausibile, l’unico filo rosso di uno stile attoriale che ha provato a raccontare, dell’uomo, la fame, la disillusione, la vergogna e la dignità. In particolare c’è un film che, mio modo di vedere, sintetizza al meglio quanto sopra detto. “Dov’è la libertà” di Roberto Rossellini, del 1954, mette in scena la vicenda di un uomo uscito dal carcere dopo aver scontato una lunga condanna per omicidio.
Nei panni di Salvatore Lojacono, il protagonista del film, Totò è perfetto nel mettere in scena il dramma della “rinascita” post detenzione, laddove il mondo che lo circonda non è più quello che aveva lasciato prima di entrare in carcere. Disgustato da tracotanza, offese e solitudine, Lojacono cerca di ritornare in carcere, dove aveva trovato una sua dimensione umana fatta di solidarietà, rispetto e soprattutto dignità.
Come non pensare questo film quale metafora efficace di un paese uscito dai traumi della guerra, e subito ritrovatosi dinnanzi ad un immediato sviluppo capace di travolgere tutto e tutti. E Totò aderisce alla perfezione al suo personaggio, muovendosi per tutto il film con uno sguardo perso nel vuoto, gli occhi a cercare ragioni che non esistono, le parole vuote e destinate a non contare nulla.
Lo spaesamento di Lojacono trova nel volto tragico e pulcinellesco di Totò una sponda efficace e imprescindibile. La sua comicità sembra uscire fuori dalle migliori pagine di Cecov e Gogol, a disegnare un destino capace di rappresentarci tutti. Ecco questo fu Totò, la maschera di tutti noi.
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-Mario Valdemarin, noto attore di prosa e di cinema che da giovane partecipò ad alcuni film interpretati da Antonio De Curtis, ci affida una sua breve testimonianza:
“Ho conosciuto Totò nel 1959 alla Safa Palatina dopo le riprese di “Arrangiatevi!”. Dovevamo, tutti e due, doppiare noi stessi in alcuni dialoghi risultati troppo rumorosi perché filmati in ambienti esterni. Il film era stato diretto da Mauro Bolognini. E nessuno di noi immaginava che sarebbe diventato un cult da antologia. Totò era discreto e solingo, come da sua abitudine. Io mi sono leggermente inchinato chiamandolo Principe. Lui sorridendomi mi ha allungato la mano dicendomi …salute e buon lavoro, bello guaglione”