L’allegra vedova
L’allegra vedova, rielaborazione del regista Bruno Stori dell’operetta di Lehàr, con Maddalena Crippa protagonista
Al Teatro Niccolini di Firenze
Un conteur parigino, divertito e appena nostalgico, quasi un affabile maître d’hotel, ci permette di attraversare una soglia invisibile, un po’ come avviene in Midnight in Paris di Allen, accompagnandoci nei mousseux jours della Belle Époque. Sembrava l’inizio del Mondo Nuovo, con tutta quell’eccitazione da Ballo Excelsior in 6 parti e 11 quadri scatenata dalle varie applicazioni dell’elettricità, dall’automobile, dai primi aerei, ecc. ecc. Peccato che la fede enfatica nella Luce, nella Civiltà e nel Progresso sia stata il prologo degli “ultimi giorni dell’umanità”, e della fangosa carneficina che ha spazzato via per sempre le illusioni positiviste, insieme alla costruzione mitopoietica di un’Europa di piccole patrie confortevoli e inoffensive, in definitiva fiabesche e irreali.
Irreali come il Pontevedro da cui provengono Hanna Glavari e Danilo Danilowitsch, i due protagonisti dell’operetta di Lehàr rievocata nell’intrigante cafè chantant allestito da Maddalena Crippa. Spira un’aria da Grand Hotel à la Vicki Baum intorno alle due figure principali, interpretate, come tutte le altre, dal caustico Narratore “per mancanza di personale”. Immaginarie porte girevoli attraverso le quali scorrono aristocratici, diplomatici, sovrani di minuscoli regni sull’orlo della bancarotta, avventurieri, gaudenti d’ogni sorta, ballerine, gigolò. Figure di sogno, la cui dissolutezza in fondo innocente ci appare frutto di un Eldorado mai esistito, dell’idealizzazione di una società in cammino verso un drammatico tramonto.
Eppure quest’inganno letterario e musicale, consapevole o meno, riesce ancora a coinvolgere, principalmente per merito di quella grande, duttilissima attrice che è Maddalena Crippa. Illusionista alla Thomas Mann nel ruolo del Narratore che cuce insieme le parti della storia, appare perfetta nell’interpretazione del Conte Danilo, slavo passionale, malinconico e dissipatore, dedito allo champagne e alle compagnie femminili ma fedele a un’unica Dama, per la quale in passato ha perso al giuoco l’intero patrimonio, riducendosi a fare il piccolo funzionario d’ambasciata. Per Hanna, M. Crippa sceglie toni da “nata ieri” vezzosa e ondivaga, dietro i quali si celano vaporoso cinismo, coscienza della rapacità che circonda i 50 milioni ereditati dal marito banchiere, qualche sfumatura biedermeier (di quelle biasimate da Elizabeth von Arnim in La storia di Christine) e gusto manipolatorio della seduzione.
Irresistibile la caratterizzazione alla Paolo Poli delle varie grisettes di Chez Maxim. Lolo, Dodo, Jou-Jou, Frou-Frou, Clo-Clo e Margot si fondono nell’effervescenza incontenibile di una figura unica capace di fermare il Tempo e dissolvere ogni pensiero funesto.
L’intero progetto trova un’emozionante compiutezza quando nel finale Maddalena Crippa intona Lippen Schweigen in tedesco. Il valzer sosta, si gira, s’inchina, riprende, s’illanguidisce nel proprio tramonto come certi movimenti sinfonici di Mahler, sembra morire in una luce dorata di candele, e ricomincia i suoi volteggi, senza fine.
L’allegra vedova
Cafè chantant
rielaborazione testo originale di Victor Leon/Leon Stein
a cura di Bruno Stori e Maddalena Crippa
arrangiamento musiche originali di Franz Lehàr
a cura di Giacomo Scaramuzza
regia di Bruno Stori
con Maddalena Crippa
e con Giampaolo Bandini (chitarra), Giovanni Mareggini (flauto e ottavino), Mario Pietrodarchi (fisarmonica), Federico Marchesano (contrabbasso)
produzione Parmaconcerti e Compagnia Umberto Orsini
Teatro Niccolini di Firenze