La moviola del tempo
DE OLIVEIRA E LA STORIA
“Un film parlato” Prod.Port-Fra-Ita, 2003 Con Catherine Deneuve, Stefania Sandrelli, Irene Papas, Leonor Silveira, John Malkovich.
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Una giovane signora portoghese, Rosa Maria, viaggia in crociera sul Mediterraneo, in compagnia della figlioletta Maria Joana, da Lisbona per raggiungere l’India, dove si trova il marito. Insegnante di storia, la donna vuole visitare quei luoghi di cui ha tanto parlato ai suoi allievi e la bambina, sempre più desiderosa di conoscenze, incalza la madre con le sue domande. Le opere d’arte incontrate dalle due durante il viaggio sono l’occasione per riattivare storia, miti e leggende che s’intrecciano fino a confondersi. L’incessante dialogo tra madre e figlia sottolinea il percorso conoscitivo intrapreso insieme, metaforico passaggio di conoscenze tra generazioni.
Immagini e parolecreano un tutt’uno sospeso fra passato e presente. La cinepresa si sofferma su ogni prospettiva naturale e culturale: quadri, architetture, rovine, panorami diventano momenti di un itinerario che giunge fino alla contemporaneità. Insomma, Manoel De Oliveira si conferma grande affabulatore, capace di catturare l’attenzione dello spettatore, facendolo entrare nei meandri, anche i più nascosti, dell’animo umano sospeso fra memoria e attualità. Non è un caso che la bambina, immersa nelle sue nuove esperienze, ponga riflessioni spontanee e logiche e che la madre le spieghi, serenamente, le contraddizioni della Storia.
L’uomo, dice la donna, è immerso in un crogiuolo di sensazioni e razionalità che sembrano non potersi incontrare mai, fin quando anche per caso ciò avviene. De Oliveira precipita le due protagoniste all’interno di un viaggio infinito destinato a dilatarsi e restringersi secondi i tempi dettati dalla narrazione e dalle sue ellissi. Il vissuto personale di madre e figlia sembra, sequenza dopo sequenza, allontanarsi dal suo carattere privato, fino a fondersi con gli eventi della Storia, anche i più tragici, simbolicamente riassunti nel latente conflitto arabo-occidentale.
E il dato esistenziale, nota comune di tutti i film del maestro portoghese, riemerge prepotente nell’inatteso finale, dove la grandezza dell’uomo è offesa, insopportabilmente, anche dal suo essere così precaria e fragile, vincolata com’è ai limiti materiali e al caso. Ancora una volta, il grande regista portoghese riesce a fondere esperienze quotidiane e massimi sistemi. La parola, essenza distintiva dell’umano, portatrice di conoscenza e relazioni, e strumento imprescindibile del cinema di De Oliveira, si manifesta, magicamente,nell’incontro di cinque personaggi, che riescono a intendersi fra diloro pur parlando ognuno la propria lingua: l’italiano, il francese, l’inglese, il portoghese e il greco, la madre lingua dell’occidente.
Alla percezione delle immagini il maestro di Oporto affida, invece, il compito di svelare i latipiù profondi del nostro essere.Il tutto attraverso una messinscena fatta di inquadrature fisse, necessarie a farci riflettere, dettagli e particolari metaforici, e un ritmo lento, perché reale e naturale, “non cinematografico”, a sottolineare lo scorrere del tempo cui l’uomo mai potrà sottrarsi, fino al suo essere acquisito alla Storia. Il solito, immenso e ineffabile De Oliveira.