Il mestiere del critico
UNA VITA “ALL BLACK”
“Moonlight”, un film di Barry Jenkins
****
In anni recenti, negli USA, la recrudescenza di reati polizieschi (impuniti) contro gli afroamericani e, ancor più, la malaugurata elezione a Presidente del reazionario Donald Trump hanno impresso alla vita nei ghetti neri delle maggiori metropoli un andamento sempre più drammatico, desolato. I giovani, fin dall’adolescenza, sono risucchiati da difficoltà, esperienze corruttrici (la droga, la violenza, l’emarginazione), mentre ogni via di uscita da simile devastante ingranaggio risulta preclusa.
Un riscontro persino automatico a tale stato di cose è stato avvertito appassionatamente dal miglior cinema degli autori all black già titolati con prestigiose prove registiche o con prestazioni interpretative superlative, tanto da dar luogo attualmente ad una sorta di “ondata nera” che fa proprie tematiche, vicende di una casistica concreta della questione razziale ben lungi dall’essere stata risolta oggi negli Stati Uniti.
Tra le sortite più significative di questa tendenza risalta, per maestria e proprietà espressiva, il film del “nero” Barry Jenkins Moonlight (tratto da una pièce dell’altrettanto “nero” Alvin McCraney dal titolo In moonlight black boys look blue) articolato in tre parti che vedono protagonista Chiron (ovviamente “nero”) nelle tre fasi della sua tribolata esistenza – infanzia, adolescenza, età adulta – in un degradato quartiere di Miami. È qui, anzi, che prende avvio la storia di Chiron, prima il Piccolo bistrattato, vilipeso per la sua propensione omosessuale, poi sfruttato e drogato anche in famiglia, infine orgoglioso maschio “tutto nero” (Black) ormai affrancato da ogni soggezione o complesso di inferiorità, forse salvato anche nei suoi gesti più boriosi dalla sola amicizia del solidale Kevin.
Le tre parti che caratterizzano il racconto di Moonlight prendono così le mosse da Chiron ancora un timido ragazzetto mortificato dai compagni come Piccolo e malamente tollerato dalla madre drogata di crack, quindi adolescente disorientato sorretto soltanto dal pur cinico Juan, e infine orgoglioso uomo “tutto nero” lanciato nel vasto mondo, non alieno peraltro dal coltivare, anche aldilà della sua tendenza omosessuale, un tenero sentimento per chi l’ha compreso, aiutato quando tutti lo tenevano in conto di uno sprovveduto senza futuro alcuno.
Nella piena riuscita di questo film di Barry Jenkins (già accreditato di alcune prove) va preso in debita considerazione che, quale opera assolutamente all black, mette in campo un gruppo di attori afroamericani di notevoli doti quali Trevante Rhodes, Ashton Sanders, Alex Hibbert, Malarshala Ali, Naomi Harris. Non bastasse tanto, l’impatto di Moonlight nelle sortite americane dei mesi scorsi ha fatto registrare da parte della critica e del pubblico vistosi e unanimi consensi. Al punto che lo stesso film, già segnalato dai Globe recentemente, è pluricandidato per i prossimi Oscar. Un neo in simile contesto è il passaggio quasi distratto del film di Jenkins dalla festa di Roma 2016. Una dimenticanza? Un errore? L’una e l’altro.