L’ultimo film
“L’ARGENT”
DI ROBERT BRESSON
Prod. Fra-Svi-1983 Con Christian Patey, Vincent Risterucci, Caroline Lang
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14° e ultimo film, in 50 anni di carriera, del massimo regista francese Robert Bresson (1901-1999), “L’argent”, ispirato alla novella di Tolstoj “Denaro falso” (e casualmente recuperato in una recente proiezione televisiva), si muove su due piani paralleli destinati inevitabilmente ad incrociarsi: il Capitale e la Morale. La parabola di Yvon, finito in galera per colpe non sue, consente a Bresson di ritornare sul suo tema preferito, la fine della Grazia nel mondo contemporaneo. Il suo cinema inane, fatto di silenzi e stasi drammatiche, tende verso il racconto del vuoto cui l’uomo è destinato, inevitabilmente.
Come e più che nel precedente “Il diavolo probabilmente…”, del 1977, Bresson agisce poco la cinepresa, concentrandola sui dettagli e i particolari, per evidenziare un disagio esistenziale impossibile da risolversi, proprio perché l’uomo sembra essere stato abbandonato da un Dio che forse non è mai esistito. Questo cinema della negazione si risolve in una narrazione spietata dell’individuo e, di conseguenza, della società, entrambi prede di un meccanismo perverso messo in moto dal Capitale.
Il denaro, in sostanza, diventa lo strumento della rovina, la causa delle catastrofi umane, essendo coincidente con la natura stessa dell’uomo, spasmodicamente desideroso di soddisfare piaceri e comportamenti privi di una morale di fondo, non mediati da una consapevolezza più alta, da un rispetto per se stessi e il prossimo.
Questo è forse il film più duro e ineffabile di Bresson (foto a sinistra), giunto, all’età di 82 anni, nudo, senza infingimenti narrativi e formali, dinnanzi ad una umanità sempre piùdolente, colpevole e innocente insieme, proprio perché abbandonata a se stessa, e, dunque,inevitabilmente condannata alla sofferenza e alla dannazione.
Insomma, in Bresson il sacro si mischia alla colpa, fino allo schianto finale dell’immagine-uomo, sempre più irrisolta, indefinita. Per questo, il grande autore francese sembra voler rinunciare persino alla regia, andando anche oltre quel minimalismo di cui fu padre indiscusso.
La sua visione del mondo, ormai senza speranza, lo costringe a mettere in campo inquadrature e sequenza prive di una logica sintattica. La realtà per Bresson è irraccontabile, destinata alla dissoluzione, come il suo cinema, destinato al valore più assoluto cui un artista possa ambire, la testimonianza.