Il mestiere del critico
VITE FUORI MERCATO
“Prigionieri del 7o piano” di M. L. Compatangelo al Teatro dei Conciatori, Roma
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Eravamo una Repubblica fondata sul lavoro…adesso, a quel che si vede, è fondata sul Mercato, che ne detiene la Sovranità (Raniero La Valle)
Sono indubbiamente bravi, affiatati, attenti alle pigmentazioni e alle prismatiche rifrangenze dei nuovi disagi borghesi (la voragine del finanziario), Rosario Galli e Gianna Paola Scaffidi che in “Prigionieri del 7° piano” fanno coppia di mezza età, esposta al post-moderno supplizio di Tantalo- per quel che fu il ‘benessere’ d’occidente, effimero e inaridito come magistralmente dimostrato in una dimenticata pièce di Franco Brusati. E quindi, la sopravvenuta precarietà economica (recante la “sindrome dei penultimi”) che, abbinata ai sentimenti (umanissimi, non paranoici) di ansia e frustrazione ‘lavorano’ come un tarlo dell’anima, della psiche, del corpo e dell’eros, divorando – giorno dopo giorno- ciò che di buono, di resistente si crede di avere accantonato e “dato per acquisito” – lungo la solita vita di legittime aspirazioni corredata di sacrifici, rivincite, sconfitte e ripartenze.
Cuore pulsante della (tanto amara) commedia di Maria L. Compatangelo, punteggiata da quelle idee fisse che ‘fanno nido’ tra frasi fatte, silenzi opprimenti e ‘giorni dell’abbandono’, sono istanze e vessazioni dalle fisionomie ben precise: baronie universitarie, carriere bruciate, truffe bancarie (come da cronaca quotidiana), male assortire di falsi amici ed arrampicatori sociali: elementi tossici di una potenziale angoscia, impotenza alla reazione cui si riconduce (per ‘reazioni a catena’) la condizione civico-esistenziale di Pino e Mariuccia (nome dei due ‘esemplari’ personaggi) non dissimile da quella di tante coppie in attraversamento del ‘deserto di solidarietà’ a noi comune. Si parte da un errato investimento finanziario, offerto (imposto?) dalla solita Banca Amica (ossimoro in natura), si arriva ad una conclusione che eviteremo di anticiparvi.
Disistima, senso di inadeguatezza, panico da fallimento, autoemarginazione nell’anonimato di un appartamento a rischio ipoteca sono i corollari di un in(f)terno domestico, che sembra prolassare al confronto del giudizio sferzante di chi pare abbia raggiunto – e mantenuto- il ricattatorio, mai definitivo ‘posto al sole’ nella scala (classista) del sociale. A duro confronto, comunque, con un contesto di avversità ed esempi eversivi “cui rifuggere”, e tuttavia ineludibili, come nel caso di un bullo di quartiere che – nel suo chiamarsi Angelo- assume il ruolo di nero vessatore d’ogni coscienza critica e dolente, insolentita a domicilio.
Curatissimo nella sua sobria, lineare, essenziale messinscena- leggera e riflessiva nel suo azzerare i tranelli del melodramma- “Prigionieri del 7° piano” mette in luce le qualità di scelta e peculiarità di repertorio, principalmente indirizzate alla drammaturgia italiana, del Teatro dei Conciatori. In un ambito in cui la scena romana (italiana) è purtroppo carente, specie dopo la defenestrazione (‘siete fuori mercato, senza showbiz’) di storici spazi quali il Politecnico, il Metateatro, la Comunità, La Piramide e tanti altri che la vaga memoria si ingoia.
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“ Prigionieri del 7° piano” di Maria Letizia Compatangelo Regia e ambientazione di Donatella Brocco Interpreti:Gianna Paola Scaffidi, Rosario Galli, Elia Paniccia Teatro dei Conciatori, Roma