Il mestiere del critico
AMORE E RABBIA
“American Pastoral” film d’esordio di Ewan McGregor
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Philip Roth è certamente tra gli scrittori americani d’oggi più originali e talentuosi. Scomparso il grande Saul Bellow, Roth incarna si può dire compiutamente quello scorcio importante della narrativa di matrice ebraica intrisa di acri umori sarcastici e di prefigurazioni paradossali.
Già il romanzo che lo lanciò nell’universo mondo letterario cosmopolita, Lamento di Portnoy (1969), il “racconto delle repressioni e delle trasgressioni sessuali” prospettava, con accenti accesamente divaganti tra comico e grottesco, una “riscoperta” dell’America in termini tutti disinibiti, dissacratori.
Da tale libro utopia seguirono tanti altri testi ricolmi di provocazioni, di sberleffi sul lamentevole clima della società americana dagli anni Settanta a tutt’oggi. Tanto da accreditare lo stesso Roth, tra ribalde sortite satiriche e preveggenti disastri epocali, come il testimone disincantato di tutta una civiltà.
Ora, un cineasta esordiente, Ewan McGregor, ha posto mano ad uno tra i più recenti lavori di Roth, dal titolo ironicamente evocativo American Pastoral, giusto nell’intento di ripercorrere, tra immagini e parole sapientemente calibrate, l’intrinseca moralità di una storia giostrata con diligente immaginazione da personaggi e situazioni costantemente ai margini di ricorrenti crisi e dissipazioni.
Dunque, Seymour Levov – detto lo Svedese – un ebreo facoltoso, titolare di una fiorente industria, vive agiatamente in una confortevole casa allietata dall’avvenente moglie e da una figlia affettuosa, pacata. Negli anni Settanta, peraltro, i sommovimenti sociali e politici del mondo statunitense questo clima subisce un rude scossone e la pur appartata, quieta esistenza della famiglia Levov viene turbinosamente travolto impensabili eventi demolitori.
La già docile figlia Merry ribellandosi al trantran familiare si aggrega a un gruppo terroristico e compie un attentato, dopodiché si butta alla macchia. Il padre Seymour, mandando a rotoli anche il proprio tranquillo ménage matrimoniale, si impegna allo spasimo per ritrovare la figlia, chiedendosi dolorosamente perché e come quella defezione dalla vita borghese abbia potuto deflagrare in modo rovinoso.
È proprio seguendo la traccia portante dell’originario libro di Philip Roth che l’omonimo film dell’esordiente Mcgregor – facendo ricorso a un team di attori di ottima scuola: Jennifer Connelly e Hanna Nordberg, più lui medesimo nel ruolo portante di Levov – traccia e rintraccia l’intera storia dell’epopea americana degli ultimi cinquant’anni, dal clima entusiasta del secondo dopoguerra alla fallimentare avventura della guerra del Vietnam.
In questa carrellata informale (ma precisa) su questo mezzo secolo di vicende private e pubbliche risalta come un filo rosso costante, coerente, la passione dolente di Levov sia per il degrado regressivo della realtà ormai indomabile dell’America in declino, sia la sua personale débâcle nei confronti della famiglia, in ispecie della riottosa figlia.
Superfluo risulta poi in questa caduta di valori e di prospettive l’infrangibile sentimento d’affetto che un personaggio prodigo come Seymour profonde verso i propri cari e altresì verso l’intero ambiente in cui, volente o nolente, deve campare. Prevale, toccante, nell’epilogo di American Pastoral l’amarezza, lo sconforto di un’esistenza allo sbando. Giusto incastrati tra amore e rabbia.