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Angelo PIZZUTO- La memoria. Per Anna Marchesini

 

 

La memoria

 


PER ANNA MARCHESINI (CHE SI BURLAVA PURE DEL  DOLORE)

“ Alla fine del suo ultimo spettacolo invocava ali capaci di farla volare oltre gli alberi della nave, fino alle stelle”  (l. t.)

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L’umorismo di Anna Marchesini era come una staffilata distratta e svagata- alla maniera di Paolo Poli, suo caro amico.  Ed  era anche bella, ma in modo inconsueto, Anna: colta, vitale donna delle terre d’Umbria- laconiche, scontrose,  essenziali- nata ad Orvieto 64 anni fa e trasferitasi a Roma, nella prima giovinezza, giusto per frequentare l’ambita Accademia Nazionale di Arte Drammatica.

Anna e il suo multiforme, non supponente ingegno: scrittrice, umorista, trasformista, attrice solista e attrice di gruppo. Sempre leale e solidale con i compagni di lavoro, immune e derisoria di tutte le fisime (indisponenti) che affliggevano, affliggono, affliggeranno le sue compagne e compagni di lavoro, momentaneamente (tutto è provvisorio) sfiorati dall’ala del successo, delle sale stracolme, delle pozioni televisive che mandano ‘fuori di testa’ tanti dei suoi destinatari.

Per quel che posso testimoniare, non frequentando molto lo spettacolo in televisione, sono due le immagini di Anna che in questo istante ‘trafiggono’ (sottolineo ‘trafiggono’) la mia mente di suo coetaneo ed  ammiratore, prima ancora che di giornalista con licenza di recensione. La prima risale alla metà degli anni ottanta, quando, in compagnia di Tullio Solenghi venne a trovarci d’estate, in quel della Cattolica frastornante, mocciosa, balneare, durante la settimana del “Mystfest” allora diretto da Felice Laudadio, per intrattenerci – una sera in spiaggia- con i suoi folgoranti intermezzi di satira, cabaret e strali ‘erga omnes’ che la ‘gente di cinema’ accettava  sollazzata come la frusta rivolta al masochista.

Aveva fascino Anna, un fascino asimmetrico e tutto suo: inconfrontabile, impareggiabile, indescrivibile. Soprattutto  ‘out’ dai canoni di certa estetica da copertina, con quel suo viso ‘armoniosamente aguzzo’ (persino sghembo, secondo come si atteggiava), eppure smagliante, avvincente, persino ipnotico. Una pantera con fattezze di donna (allegra, burlona,trasformista), un corpo slanciato, statuario, atleticamente armonico- come si addice  ad una ragazza che aveva frequentato, a tempo debito, palestre e scuole di danza.

Ma il ‘flash forward’, la sequenza immediatamente successiva che riemerge dalla memoria precipita, invece (e senza interludi) in quell’acre pomeriggio di sei anni fa, al Teatro Eliseo di Roma, dove si era giunti per  assistere ad una delle ultime repliche di “Giorni felici” di Beckett, in cui Anna Marchesini (che già non stava bene) aveva profuso ogni sua energia e ambizione di riscatto (dal dolore fisico). Lo spettacolo non andò in scena, il pubblico che sostava nel foyer venne rimborsato, e -condivisa con pochi  amici – l’ultima immagine di Anna, discreta e difilata (il volto nascosto da occhiali), fu l’uscita dal portoncino degli artisti di via della Cancelleria, giusto il tempo di introdursi in un’auto che la stava attendendo. Nessuno osò accostarla, prima che il veicolo andasse via.

Nell’intervallo dei due episodi esiste comunque una smagliante carriera di interprete poliedrica, generosa, esuberante sulla scena, discreta e gelosa della propria ‘privacy’ nella sfera degli affetti, delle relazioni personali: che non mancarono di tribolazione, ma da cui nacque la sua unica, amata figlia, Virginia  (che apprendo essersi laureata poche settimane fa)

La  lunga carriera di Anna Marchesini,  sempre all’insegna dell’intelligenza e dell’ironia, ha infatti abbracciato – ed ai massimi livelli- il teatro, la televisione, la narrativa, pur se  l’affetto del   pubblico medio  (la popolarità anche all’estero) arriva dall’incontro –all’inizio degli anni ’80-  con Tullio Solenghi e Massimo Lopez,  con cui ‘deflagra’  l’irripetibile Trio (ciascuno complementare e autonomo al  sussunto scenico)  – e le irresistibili re.invenzioni di cui Anna fu mattatrice: dalla sessuologa Merope Generosa a Wanna Marchi, dalla Signorina Carlo a Bella Fighejra, da Rita Levi Montalcini alla Lucia dei Promessi Sposi.

Ancora studentessa alla  “Silvio d’Amico” (dove tornò  nel 2007 da  insegnante), debutta, nell’estate del 1976,  con Tino Buazzelli nel molièriano “Il Borghese Gentiluomo”. E a fine studi, esuberante e determinata,  entra in compagnia Teatrale per la regia di Virginio Puecher (Piccolo di Milano) partecipando, con un ruolo di spicco, al  “Platonov” di Anton Cecov. Nel 1980 è con Mario Scaccia nello spassoso e agrodolce  “Trilussa Bazar” (era quella la cifra stilistica di Scaccia), e l’anno successivo con la regia di Mario Maranzana in  “Il Barbiere di Siviglia” Del 1982  è invece l’acclamato, ma di breve vita,  “Fantasma dell’Opera”dal feuilleton ottocentesco di Leroux.

L’amicizia, l’affiatamento  con Lopez e Solenghi, come si dice in gergo, dureranno per  ‘tutta la vita’ – anche se ufficialmente il trio si scioglierà nel ’94 (e pur tornando saltuariamente insieme per serate di rimembranza). L’esordio in televisione  era avvenuto  con    “Helzapoppin” su Rau2, a cui seguirono, negli anni Ottanta, “Tastomatto”, “Domenica In”, “Fantastico” . Il trio conquistò il pubblico televisivo e poi “lo traghettò a teatro”- scriveva Aldo Grasso, se non erro. Il  primo spettacolo fu  “Allacciare le cinture di sicurezza”, che  debuttò nel 1987 al Sistina di Roma e fece il tutto esaurito per tre anni aggiudicandosi con disinvoltura il meritato premio  “Biglietto d’oro”- poi tramontato con la crisi di quello e di altri comparti della vita oltre-fatica.

Ma presto fu la volta de “I Promessi Sposi”.   Il successo  della parodia, della ‘profanazione’ ilare del classico letterario (trasmesso nel 1990 in 5 puntate da Rai 1 con un ascolto medio di 13 milioni e picchi di 17 milioni) fu una sorta di ‘consacrazione’ definitivamente. A quell’exploit seguì, nel 1991, un secondo spettacolo  per il teatro “In principio era il Trio”, altro sbaraglio  e biglietto d’oro e tre stagioni di turnée pure all’estero.  Con lo scioglimento del team, per Anna Marchesini,  arrivò la scelta di una serie di show da solista (per attrice e regista) che ebbero per cornice preminente il Teatro Olimpico di Roma.

Del drammaturgo inglese Alan Bennett oltre a “Una patatina nello zucchero”, Anna  portò in scena   “L’occasione d’oro” e La cerimonia del massaggio, spettacoli che ben miscelavano  l’umorismo “british” dello scrittore e l’ ironia surreale della protagonista.   Tra un impegno teatrale e uno televisivo Anna Marchesini si dedica molto alla misconosciuta arte del doppiaggio prestando la voce in una serie di cartoon: i francesi “La profezia delle ranocchie” e “Principi e principesse”,  oltre ai    disneyani  “Le follie dell’imperatore” ed “Hercules”- poi, suo grande orgoglio, a Judy Garland nel nuovo doppiaggio de “Il mago di Oz”   e, per puro divertimento, ad alcuni episodi di “Star Trek” e “La casa nella prateria”.

Incline, col tempo, anche alla narrativa (in uno stile che sta tra l’apologo morale, il paradosso e l’osservazione incredula-stupefatta, rinsaldati  da esistenziale disinganno), Anna Marchesini  pubblica, dopo i quarant’anni,  una serie di libri: con Tullio Solenghi “Uno e trino” e “Che siccome che sono cecata” di matrice teatrale- poi, per Rizzoli,  “Il terrazzino dei gerani timidi” e “Di mercoledì”. Anche la sua  ultima pièce, “Cirino e Marilda non si può fare”, in scena al Piccolo Teatro di Milano nel 2014, era tratto dal suo libro “Moscerine”, una galleria di personaggi femminili dolorosi e comici come quelli che nella sua lunga carriera aveva portato in scena o intrecciato nella vita.

Sin qui i dati biografici, meramente cronistici. Per il futuro (per la ‘memoria di chi la coltiverà’) la quasi certezza, o la speranza, che Anna Marchesini – con Franca Valeri, Bice Valori e Monica Vitti- possa appartenere alla Storia del Teatro al capitolo ‘migliori interpreti satiriche e trasformiste’ di tutto il Novecento.