Il mestiere del critico
EROTISMO QUOTIDIANO
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“Tokyo Love Hotel”, un film di Iroki Ryuichi
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Nel 1976, Nagisha Oshima, già accreditato di due film importanti – Notte e nebbia del Giappone e La cerimonia – coglie un vistoso riscontro positivo con il suo nuovo Ecco l’impero dei sensi, una perorazione fredda e insieme appassionata sull’individuo e la sua immagine sociale, attraverso la messa in scena, anche con crudo realismo, dell’amore e della morte. Si tratta, in particolare, di un fatto di cronaca cruentissimo verificatosi a Tokyo nel 1936 che prospetta il rapporto sessuale sempre più azzardato tra tale Kichi e la cameriera Sada spinto fino al parossismo dell’annientamento, con la donna, totalmente succuba dell’eccesso erotico, che evira e conserva gli organi sessuali dell’amante ormai deceduto.
La sortita del film di Oshima suscitò, immediate, in Giappone e ancor più in Occidente, un interesse critico acuto e, al contempo, un’aria di scandalo del tutto immotivata per il tema trattato con entomologica refrattarietà e comunque ipocritamente travisato da una “lettura” meccanica della storia ben altrimenti significativa di una trasgressione banale, pura e semplice. Anzi, se una lezione è possibile ricavare da quest’opera, certo arrischiata ma fondamentalmente “morale”, essa risulta proprio (secondo l’intuizione di Georges Bataille) la definita asserzione che “l’erotismo … è l’approvazione della vita fin dentro la morte”.
Ora, a quarant’anni esatti dall’uscita contrastata del film di Oshima – con profluvie di film incentrati sui temi erotici e vicende sessuali anche abnormi proliferati frattanto in Giappone e altrove – uno scafato cineasta già intento a farsi largo con lavori più o meno “arditi” sulle cose del sesso, ha posto mano a un’operina, tra garbato umorismo e pruriginose situazioni erotiche, destinata più che a scandalizzare (ormai una pratica quasi del tutto obsoleta) a intrattenere con spiritosa leggerezza, anche se i personaggi, i casi in cui si avvoltolano, nei letti dell’ospitale Tokyo Love Hotel, tipi di volta in volta volitivi e determinati a vivere le fatiche d’amore con disincantata normalità. Per osate che siano le personali avventure di una coppia di amanti o dei loro corrispondenti ricalchi psicologici, esistenziali vanno sempre a finire in epiloghi serenamente, filosoficamente tolleranti.
In mezzo a simile trepestio di uomini e donne in amore si staglia – anche suo malgrado – l’ambizioso ma inetto Toru Takahashi che, frustrato nella sua smania di arrampicata sociale, si acconcia a vivere (a sopravvivere) nel mortificante ruolo di mezzano nel vortice di assatanati amanti che popolano, di giorno, di notte il malmesso Tokyo Love Hotel. Con abile mestiere, Ryuichi Iroki, immergendosi negli alberghi, nelle stanze a ore di una Tokyo desolata e opprimente, imbastisce – grazie alla disinvolta sceneggiatura di Futoshi Nakano – tanti piccoli, squallidi incontri; e dell’erotismo, dell’amore, del sesso coglie (forse) soltanto gli umoristici impacci, le fallimentari imprese.
Nagisha Oshima e Georges Bataille sono ben lontani da questa giostra sessuale ove alcun slancio, alcuna emozione si consolida in un racconto di qualche pur blanda moralità. E la cosa è spiegabile in molti modi. Poiché Oshima, Bataille avevano ben presente l’ansia di capire, di spiegare le sotterranee pulsioni dell’amore (qualsiasi esso sia), mentre i contemporanei Iroki e Nakano si appagano di muovere sberleffi e ciniche constatazioni sul conto della passione, degli amanti e di ciò che intorbida la nostra vita, i nostri sensi.
Il tutto, con appena sdrammatizzanti sorrisi di consolazione. Nutrire qualche moderata nostalgia per il prestigioso Oshima o per l’acuto Bataille ci sembra, al riguardo, il minimo che si possa fare.