Il mestiere del critico
PROGETTI D’ AMORE
“Il piano di Maggie”, un film di Rebecca Miller
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Rebecca Miller, cineasta statunitense poco oltre i cinquanta, già accreditata di mezza dozzina di film di controverso spessore, può vantare – e in effetti vanta – credenziali a non finire: figlia del celebre Arthur Miller, drammaturgo di valore e della fotografa provetta Inge Morath; moglie del prestigioso attore inglese Daniel Day-Lewis; attrice, scrittrice ormai collaudata, sceneggiatrice e massimamente, regista di lungometraggi (Personal velocity, Il momento giusto, La vita segreta della signora Lee) scende in campo ora con Il piano di Maggie commedia spuria in panni scriteriati (scriwball) che fin dall’avvio si impegola vorticosamente con vicende, personaggi segnati in modo vistoso da sindromi erotiche-sentimentali dalle rifrangenze del tutto arrischiate.
Salutato in vari festival con largo favore di critica e di pubblico Il piano di Maggie arieggia sensibilmente alle atmosfere agro-ilari del classico Woody Allenn e, volendo, anche dei trasgressivi fratelli Coen, ma senza indulgere poi troppo nel raffigurare personaggi al più travagliati da inconsistenti quanto ostinati amori spericolati, fragilissimi. Puntando risolutamente su interpreti di elegante mestiere quali Julianne Moore (Georgette), Greta Gerwig (Maggie) e Ethan Hawke (John), Rebecca Miller, sulla base di un romanzo di Karen Rinaldi, imbastisce così una carrellata di piccoli eventi tenuti assieme da un dialogo ossessivo sulla contingente fatica di vivere e, in ispecie, di barcamenarsi tra le insidiose cose dell’amore e del disamore. È questo, anzi, il leit-motiv di un melodramma in dimensione che vede, di volta in volta, vittime o vincitori le donne, gli uomini di una storia antica come il mondo. Con una evidente particolarità: Maggie, donna naive quanto volitiva coltiva l’idea di fare un figlio con l’ausilio dell’inseminazione artificiale, e, alla bisogna, si dà da fare per realizzare ad ogni costo il suo proposito.
Da qui si innesca gradualmente un mucchio di altri fatti che coinvolgono i restanti personaggi. Ovvero Maggie sfumata per difficoltà pratiche l’idea del figlio “artificiale” si acconcia a procurarsi – anche inducendolo al divorzio dalla sofisticata Georgette – l’amore dello scrittore in fieri John: la qual cosa provocaRe di riflesso tante altre questioni complicate. Maggie ottiene, in modo naturale, la sua figlioletta, mentre quelli della ex-coppia vengono variamente gestiti da una sorta di famiglia allargata e spregiudicata.
Tali e tanti avvenimenti si succedono poi nel corso degli anni con alterne resipiscenze dei protagonisti ora intenti a vivere le loro rispettive aspirazioni, ora a recriminare insistentemente sulla caducità dell’amore e sui possibili rimedi per porvi riparo. Non escluso l’espediente – il piano Maggie – di tornare all’assetto originario degli affetti già noti: John ripristina il suo legame con Georgette e l’inquieta Maggie sceglie il ruolo più che appagante della madre provvida e nobile. L’esito risaputo de Il piano di Maggie non riesce comunque a deludere del tutto, poiché l’intero racconto si muove abilmente tra ironie e sarcasmi sapienti, grazie soprattutto alle interpretazioni magistrali di Julianne Moore, Greta Gerwig ed Ethan Hawke, oltre ai dialoghi precipitosi, incalzanti di una rappresentazione dipanata con ritmo equilibrato, serratissimo.
C’è, peraltro, un aspetto ulteriore che caratterizza l’impianto di un lungometraggio inusuale come Il piano di Maggie ed è precisamente il tono forse un po’ troppo saccente, disinibito di una vicenda che accentrata su un contesto ambientale e sociologico borghesissimo, non sa – forse non vuole – affrontare più risolutamente il discorso sul rapporto tra i sessi e in particolare sul confronto ancestrale tra l’uomo e la donna. Oggi come per il passato è un’impresa ardua amare. E lo è anche di più con una sorta di “passione a tre” pressoché insolubile. Almeno così sembra nel più dei casi, Maggie compresa.