Il mestiere del critico
PASOLINI, AVRA’ VITA FUTURA?
Al Teatro Argentina di Roma, uno spettacolo spoglio, pregnante di Ricci\Forte- La morte violenta, un presentimento che si autoinvera
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Avevamo intercettato il teatro di Ricci e Forte, l’ultima volta, in occasione di una performance, “Still life”, denunciante temi, violenze, luoghi comuni che sono i sintomi della più feroce omofobia in circolo per il paese. Spettacolo- quello- “sussultorio, temerario, plausibilmente aggressivo” (annotavamo), misturato ad un linguaggio scenico di solo apparente improvvisazione: snodata, slegata, sbalzante tra happening, performance e ‘libro bianco’ (documentato, esternato a voce alta) sulle vittime dell’intolleranza e dello stalking – per qualsiasi sesso e latitudine.- con al centro una sorta di ‘genetiana’ cerimonia che era ferale, solidale, orgoglioso omaggio ad un adolescente romano (Davide) indotto al suicidio per atti di bullismo.
Con analoghi argomenti- ed istanze- ritroviamo la compagnia dei due ex autori televisivi (ridotta di quasi tutti i componenti maschili) in questo scarno ricordo di Pier Paolo Pasolini, la cui euritmia e cifra espressiva sono, inaspettatamente, la sobrietà del gesto e il recupero (icastico) di un teatro di parola che, alle accensioni drammaturgiche di Ricci e Forte (il primo anche regista), interseca brani sparsi, poetici, talvolta ermetici (per una ‘prosa civile’che allude, in ‘canone’ di prima stesura, tutta da decifrare, all’Italia di Cefis e del perenne innesto malaffare-politica-che-lo-rappresenta) di una traslata autobiografia accusatoria, qui affidata alla presenza monologante di un attore coraggiosissimo (Giuseppe Sartori), ma temo assai giovane ed alquanto acerbo rispetto alla ‘gravità’ del personaggio che gli pesa addosso.
Schivandone tuttavia ogni tentativo di emulazione, imitazione, somiglianza fisica, ed essendo l’inventario scenico, la quintessenza di un ‘oratorio lirico-esistenziale’, di una spasmodica ricerca del ‘diverso’ e di ‘se stesso’ (il Pasolini uomo di periferie sconfinate, insofferente alle convenzioni, ai rituali diplomatici e di ‘ruolo sociale’, ancor prima che scrittore scomodo, corsaro, non compromissibile) che si dispiega nello spoglio scenario (onirico?reale?) di un lercio deposito di gomme usate, pneumatici in disuso intinti nel bianco selciato di una remota landa di spiaggia ove –già sappiamo- Pasolini venne fatto fuori in una notte di novembre 1975.
In una ritualità teatrale che non fa mistero di alcuni debiti espositivi mutuati da Antonio Latella (che cesella, in genere, una scrittura scenica più sperticata, ‘urlata’, a tasselli sparsi), cui potremmo accostare anche un’Emma Dante prosciugata (però) di dialettalità e colori accesi, Ricci e Forte alimentano uno spettacolo “mirante” al proscenio, all’allineamento orizzontale di parole ed attori, servendosi della sonorità (cupa, roboante, minacciosa come stridore di lamiere) che ‘avvertiamo’ incombere su noi tutti, ma che mai si materializza in oggetti o strumenti di riconoscibile perniciosità. Tanto che la ‘solitudine’ del poeta, ad un passo dalla fine, si anima di inattese creature femminili, pimpanti e tracotanti come ‘signorine’ o ‘sorelle’ dei ragazzi di vita che furono complici, compagni, inconsapevoli aguzzini di un uomo, friulano nell’anima, cui la città di Roma restò per sempre un oscuro, seducente mistero, non diverso da quel ventre materno cui si rifugge (da adulti) per serbarne, talvolta, nostalgia di pertugio non confessabile.
Ragazze di ogni tipo e provenienza che appaiono – almeno a noi- la Nausica di un itinerario terreno di fatto già segnato e in via di epilogo (emotivamente intenso lo squarcio di crudeltà, in cui le gomme d’auto si fanno contundenti oggetti di stupro collettivo): quasi Supplici sorgive e ‘selvatiche’ nel loro amabile schernire, provocare, cadenzare sensuali rumba e cha cha cha, istigare il protagonista ad un ballo della tarantola dove l’emulsione dei gusti e dei dati anagrafici potrebbe (anche) sciogliersi in dionisiaci abbandoni di pregiudizi e fobie. Per una “con\fusione” di corpi e di sensi che ovviamente non avrà luogo, poiché l’iniziazione al ‘sacrificio estremo’ è già nell’aria e, in un modo o nell’altro, tutto sarà compiuto: non secondo destino, ma in ottemperanza ai mandanti di questa terra. In un baleno di scena o sequenza che meno plateale non potrebbe (felicemente) essere.
Avrà, Pasolini, altre “vite future” cui alludeva il titolo di un’iniziativa di qualche anno fa? A noi piace pensare di si. Dando doppio significato all’esplicita (amabilmente ambigua) diapositiva finale con cui, in fondo scena, si proietta la parola “Orlando”, memorandum delle recenti vittime della strage americana. “Orlando” resta però anche il titolo del più famoso romanzo di Virginia Woolf al cui in invecchiabile protagonista sono concessi secoli e secoli di vita trasmissibile di corpo in corpo, di epoca in epoca, di gender in gender. Fosse permesso a Pasolini nella sua già raggiunta “luna di cicale e di sperma”…..(essendo, la morte, un presentimento che si autoinvera)
Produzione CSS Teatro stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia presenta
in coproduzione con Festival delle Colline Torinesi
PPP Ultimo inventario prima di liquidazione
di ricci/forte
drammaturgia ricci/forte
regia Stefano Ricci
con Capucine Ferry, Emilie Flamant, Anna Gualdo, Liliana Laera, Giuseppe Sartori, Catarina Vieira
scene Francesco Ghisu
movimenti Francesco Manetti
costumi Gianluca Falaschi
ambiente sonoro Andrea Cera
assistente alla regia Ramona Genna
direzione tecnica Alfredo Sebastiano
Teatro Argentina di Roma dal 14 al 18 giugno- da ottobre in tournée