La moviola del tempo
RITRATTO DI SIGNORA CON ANAMORFOSI
CHLOE
Regia di Atom Egoyan. Con Julianne Moore, Amanda Seyfried, Liam Neeson
produzione USA/Canada/Francia, 2009
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Per Catherine è come cadere all’indietro, molto lentamente, dentro il cunicolo tortuoso della perdita, o del timore di essa. Medico di successo e donna il cui fascino si esprime nell’essenzialità elegante delle linee interiori, osserva il progressivo allontanamento sentimentale del marito David, la distanza sempre più vasta che separa i loro giorni, quella raggelante elusività che arriva a scavarle solchi di dolore intorno agli occhi, che le mangia l’anima e ne copre i bordi di neve.
La ricerca ossessiva di una verità in costante slittamento conduce poco alla volta Catherine in un labirinto. Varca un confine invisibile e contatta con imbarazzo appena sprezzante una giovane escort, Chloe, che riceve i clienti nel lussuoso hotel situato vicino al suo studio. La ingaggia affinché la ragazza adeschi il marito, fingendo di essere una studentessa, e le riferisca le reazioni dell’uomo. Chloe ama la componente metamorfica della professione che pratica, è connaturata in lei la capacità di diventare qualunque cosa, di intuire e realizzare i desideri dell’altro, “di sapere sempre dove collocare una mano, o le labbra”.
Provando un’attrazione sempre più forte per Catherine, di incontro in incontro Chloe si muta nel canale di connessione ingannevole, generatore di anamorfosi, fra la visione turbata della donna e circostanze di momento in momento più inafferrabili. Chloe frantuma e ricompone una realtà comunque fittizia o molteplice in illusione ottica e affabulatoria, conducendo Catherine a smarrire ogni residua possibilità di orientamento. Catherine prende a vagare in se stessa e nelle immagini parallele costruite dalla ragazza; si aggira sperduta in una Toronto asettica e invernale, fra ristoranti esclusivi, camere d’albergo, sale da concerto e lounge bar, dove ogni edificio e ambiente si ispira alla spericolata trasparenza decostruttivista in vetro e alluminio di Daniel Libeskind.
La donna arriva a cercare le tracce di David sul corpo di Chloe. Si immedesima e si sostituisce a lui per possederlo ancora, e vive con la ragazza un incontro sessuale teso a provare lo stesso piacere che l’uomo ne ha tratto. Apre la camicia di Chloe con le mani che incespicano nell’angoscia, fino a uno strappo esasperato, colmo di tristezza. Attraverso il rituale erotico della ragazza, Catherine opera un’oggettivazione dell’assenza di David. Contemporaneamente, Chloe appaga non Catherine, bensì la costruzione fantasmatica della donna, cercando tuttavia di plasmare le due finzioni inconciliabili in una possibilità ulteriore e nuova, in grado di rendere “vero” e materico ciò che appare soltanto come un’immagine bidimensionale riflessa in uno specchio maculato.
A partire da questo episodio, il ritmo della narrazione visiva si fa più stringente. Il riaffiorante desiderio di Catherine di geometrie interiori improntate a ordine e simmetria entra in collisione con l’amour fou di cui è preda Chloe. La passione si fa sempre più violenta, rancorosa, distorta e vendicativa, fino all’ineludibile dramma finale.
Julianne Moore è prodigiosa nell’inverare le mille increspature che, emergendo da profondità abissali, vanno a comporre un “ritratto di signora” di perturbante complessità e mistero. Un mistero che Atom Egoyan evita accortamente di sciogliere, lasciandolo libero di discendere (o risalire) tutti i livelli di ambiguità, servendosi anche di oggetti-feticcio ricorrenti, come il fermaglio per capelli che passa da Chloe a Catherine in vari momenti e che, forse, suggerisce l’esistenza nella relazione fra le due donne di un occulto anelito al maternage, perseguito dall’una e rifuggito dall’altra.