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Vincenzo SANFILIPPO- La memoria. Quella volta che Giorgio fu Pablo

 

 

Crediamo  che Albertazzi – per vitalità,  per estro, per appetiti mai sopiti anche in tarda età, riguardo la bellezza femminile- possa essere, come poi è stato,  paragonato a Picasso. Non a caso riteniamo  “Cercando Picasso”    la sua grande aspirazione in affari di cuori e di donne.  Ripropongo la mia recensione di qualche anno fa e… che il buon Dio l’abbia in gloria. (v.san.)

 

QUELLA VOLTA CHE GIORGIO FU PABLO

Giorgio Albertazzi in “Cercando Picasso”    Martha Graham Dance Company   Regia di Antonio Calenda.    Coreografie di Martha Graham riproposte da Janet Eilber   Scene e costumi di Pier Paolo Bisleri  Luci di Nino Napoletano Suono di Carlo Turetta.   Produzione: Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro di Messina, Orkestra Entertainment.  Roma, Teatro Argentina

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Un progetto di propositiva imprenditorialità che, nonostante gli incombenti tagli al finanziamento ( FUS), vede uniti in una comune partnership   il teatro stabile del Friuli Venezia Giulia, che ne è il principale artefice, e quelle dell’Ente Autonomo Teatro di Messina, con  l’Orkestra Entertainment  srl,   che  per storia e presente produttività sono sinonimo di serietà e qualità nel campo dell’intervento pubblico.  Un investimento culturale che utilizza le sinergie e la connettività dell’indipendenza creativa per  indicare un nuovo modello di produttività da intraprendere.

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In platea romana notiamo subito la massiccia presenza di un pubblico maturo. E’ il classico pubblico eterogeneo delle prime romane, tra loro molta gente nota di spettacolo che guarda al teatro e al futuro  della cultura con un pizzico di apprensione e nostalgia.

In attesa che abbia inizio lo spettacolo osservo il grande sipario d’epoca (1917) ispirato a “Parade” installato per l’occasione sul proscenio del teatro Quirino.   Lo storico sipario dipinto da Picasso, adesso conservato a Parigi presso il Centro Pompidou, fu realizzato per lo spettacolo di Jean Cocteau, e rappresenta una composita scena dove  animali, acrobati, divinità ed ermafroditi celebrano l’incantesimo della vita attorno ad  una creatura mitologica, Pegaso, il cavallo Alato che sulla sua groppa tiene in equilibrio  instabile una fanciulla anch’essa alata, sintesi pittoricamente stupefacente delle suggestioni culturali.

Quando il sipario è alzato, rivela un enorme letto panneggiato di candidi lenzuoli  fra i quali giace Albertazzi-Picasso; e poco dopo da sotto le lenzuola fuoriescono fluenti  ragazze che,  come sirene tersicoree,  iniziano a danzare – su musiche de “ Il cappello a tre punte” di De Falla –  assumendo sensuali gestualità  con spirito intriso di euritmia corale:   “ Le Sirene – pronuncia Albertazzi – “cado pezzo a pezzo nella gola delle sirene dove tutto ebbe principio, nel mio al di là  “la Physis”.

E’ la distribuzione compositiva dei quadri scenici che  afferma l’idea di regia di Calenda quale poetica di fluidificazione del senso congruente con i significanti coreografici e la teatralità immediata dei recitativi di Albertazzi, il quale regala al pubblico le emozioni “impensabili” del Duende elaborato fra mito e segni, fra esperienza ed autoesaltazione del linguaggio.

Segno di un incanto che vuol raccontare la visione prismatica dell’arte, certamente anche erotica, libera da ogni convenzione o pregiudizio, senza remore di pudicizia. Una sorta di magico rilassamento in cui domina con provocatoria raffinatezza l’idea dell’eros creaturale picassiano  elevato  alla potenza di ritualità ed arte.

Il tema coreografico prende spunto dagli scritti di Picasso sulle donne e sull’amore, sviluppato dai danzatori di Martha Graham, e rievoca con moduli di sensualissime movenze le donne che ebbero il privilegio o “la disavventura” di essere sottomesse alla sua sessualità antropofoga, teneramente compulsiva. L’artista le domava, le stregava, le aspirava, le spalmava con creaturali performances antesignane della “Body Art”;  e  ancora,  quando aveva estratto la loro quintessenza, anche intellettuale, le abbandonava esangui.

Le sue relazioni sono state delle “coazioni a ripetere” dove le parabole passionali ascendenti di ogni grande amore si tramutavano tragicamente in discendenti. Ci domandiamo quale strano masochismo ha fatto sì che molte divennero pazze per Lui, e per il suo genio. Probabilmente perché oltre averle amate le ha eternate dipingendole ed elevandole a capolavori.  “Dipingo le mie amanti – diceva Picasso – come i poeti scrivono”. Si riferiva al suo amico poeta  Apollinaire.

Albertazzi, indicando un’ascendenza di ridanciano humour quale elemento di osmosi tra realtà e finzione, tra un’oggettività d’eros mentale e una metamorfosi delle sostanziali pulsioni, apostrofa  il pittore “Picazzò”, raccontando come il personaggio  che lui interpreta sia  arrivato alla vecchiaia con la freschezza di un Peter Pan senza essere passato per l’età adulta.  Tutto il suo cercare Picasso sembra avvilupparsi attorno al tema delle “amanti dell’artista”, qui rappresentate non realisticamente ma allegoricamente dalle danzatrici che lo circuiscono in una danza ritmico-dinamica, derivata dalla tradizione ispano-americana arricchita di gesti,  figurali.

Doveroso elencare le più note tra le amanti: Fernande Olivier, Gertrude Stein, Eva Gouel, Gaby Depeyre, Irène Lagut, Olga Koklova, Marie Thérèse Walter, Dora Maar, Nusch Eluard, Françoise Gilot, Geneviève Laporte e Jacqueline Roque.  Picasso, “fagocitante” nel saper cogliere il meglio, era il loro insaziabile padre-padrone. L’artista amava dire: “Quando ho cambiato donna mi è accaduto di cambiare  anche lo stile pittorico che mi veniva ispirato dalla nuova compagna-musa complementare alla mia creatività”.

Nello spazio candido concepito per “ Cercando Picasso”, vengono citati  anche altri personaggi dell’epoca, come ad esempio Garcia Lorca di cui Albertazzi  interpreta  “Tamar e Amone”. Nello spettacolare sistema di segni-luci è visualizzata una tauromachia e l’attore indossa una grande testa di toro, mentre intorno alla  corrida  danzata sfocia  una  sfida tra matador e toro come un confronto mitico  che rimanda al “Duende”  lorchiano. Il duende, parola intraducibile, è virulenza che si sprigiona dalla lotta interiore innescata, senza preavviso, nella mente del filosofo e dell’artista; l’uno e l’altro utilizzano regole, principi, modelli diversissimi sino alla completa saturazione, alimentando la creazione di altre strutture in grado di catturare e di interpretare la realtà e il pensiero.

L’obiettivo di Albertazzi  è quello di dimostrare che l’inquietudine  –  quella senile picassiana, nella veste di forza indecifrabile di energia oscura – è comunque portatrice di frutti,  e risulta essere il motore dell’esperienza del vivere, un punto d’avvio tanto del pensare quanto dello sperimentare emozioni, un dizionario di segni nella costruzione di immagini.

Costruzione letteraria e figurativa che Picasso  elabora nel fiabesco testo “Le quattro bambine”, la cui narrazione procede per accostamenti danzati bizzarri fra insetti, astri e fiori. L’ambientazione è mutevole: un bianco orto con un pozzo al centro, un candito tavolo imbandito che nello spazio diviene etereo; non c’è posto per descrizioni realistiche, soltanto per elementi magici da mondi incantati. Le danzatrici passano il tempo fra girotondi e filastrocche creando curiosi giochi di parole.

Danno loro voce, Piera Degli Esposti che interpreta la Torta, Andrea Jonasson recita l’Angoscia magra, Franca Nuti l’Angoscia grassa, Elisabetta Pozzi è la Cugina svampita.  In quella situazione Albertazzi interpreta Piedone dentro un enorme piede carrellato e trasportato dalle danzatrici, osannando: “E quando ascolto all’orecchio del silenzio e vedo i suoi occhi schiudersi e spargere il profumo delle sue carezze, accendo i ceri del peccato col fiammifero dei suoi richiami”.

Picasso non ha mai partecipato ai dibattiti teorici intorno alla sua arte, per questo si era creata la fama di non amare la scrittura. Ma, le sue due pièce pubblicate da Ubulibri nel 1984 e ristampate negli ultimi mesi, dimostrano il contrario. Certo è che l’artista mantenne un certo distacco da quel che succedeva nei teatri della sua Parigi del secondo dopoguerra, dove si sono affermati Sartre, Camus, Beckett e Ionesco. E mentre in quel periodo nascevano l’esistenzialismo e il teatro dell’assurdo, Picasso sembrava non comunicare con il mondo che lo circondava, preferendo rifarsi a modelli precedenti, quali il grottesco di Jarry o il simbolismo di Mallarmè.

Visionando il libretto di sala “ I quaderni di Teatro n°85” non possiamo non citare l’intervista al regista dello spettacolo Antonio Calenda  che è da considerare una pagina di diario della sua formazione  dei primi anni ’60 avvenuta con il suo allestimento “Il desiderio preso per la coda” su testo di Picasso,   e   dopo tanto prolifico circuitare registico, adesso approda a questo suo spettacolare  “Cercando Picasso”.

Segue il saggio di  Renato Barilli “L’alto e il basso del sublime”  forbita e speculare introduzione alle due pièce teatrali scritte da Picasso  negli anni ’40 “Il desiderio” e “Le quattro bambine” rivelandoci la vena scritturale complessa del maestro ispano-francese ; Poi il saggio di Mario De Monticelli “La trasformazione metamorfica degli oggetti”, ovvero  com’è  stata operata  semanticamente  nello spettacolo, con proiezioni quasi olografiche degli elementi compositivi del dipinto  Guernica costituiti da riconoscibilissime  forme molto semplificate: il toro, il cavallo, il coltello, , la lampada , il fiore, la madre con il bimbo morto, la casa in fiamme sventrata dai bombardamenti. Segue ancora lo scritto della coreografa Martha Graham “Sono una danzatrice” ove argomenta che la disciplina della danza rappresenta il simbolo della vita e che ciascun danzatore non è altro che un’atleta di Dio.

L’immagine di questo lieve diafano spettacolo di sogno si dissolve lieve con l’immagine grafica della candida Colomba della Pace dedicata da Picasso alla Berlin Ensemble di Brecht e divenuta uno dei suoi simboli.

Gli applausi prolungati si tramutavano in ovazioni mentre Antonio Calenda con Giorgio Albertazzi ringraziando  il pubblico emanavano un accorato appello ai nostri governanti e alle forze della rappresentanza sociale, per superare il problema dei tagli alla cultura. Non togliete la parola al teatro, è vita.


* Vincenzo Sanfilippo, artista e saggista di arti visive e spettacolo