Da Cannes 2016
L’INFERNO DELLA FINANZA
“Money Monster”, quarta regia cinematografica di Jodie Foster
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Se si mettono insieme tre star come George Clooney, Julia Roberts, Jodie Foster – per giunta coadiuvati dal bravo attore inglese Jack O’Connell – si può essere certi che qualcosa di pregevole salta fuori. È il caso di Money Monster, quarta regia della poco più che cinquantenne Jodie Foster basata su una solida sceneggiatura di Jamie Linden, Alan Di Fiore e Jim Kouf variamente immersa nel vorticoso mondo della finanza, giusto nei momenti più acuti della rovinosa crisi di questi ultimi anni.
Oltretutto questa incursione tra le cose intricate delle speculazioni più azzardate e lucrose si svolge nell’ambito delle dinamiche televisive ove, con sprezzo d’ogni moralità e smania di una concorrenza cinica, i vari conduttori e tutto l’armamentario mediatico si muovono con l’intento di realizzare il massimo profitto e, costi quel che costi, l’esclusivo potere di manipolare, sovvertire ogni logica o chiarezza pur di conseguire risultati redditizi.
In questo senso, si spiega anche l’entrata in campo di Clooney (oltretutto produttore del film) nel ruolo tragicomico del disinibito, farsesco presentatore-consigliere di un fortunato programma televisivo imperniato appunto sui presunti guadagni investendo in borsa su allettanti (in realtà fallimentari) titoli. Questo, come spunto iniziale, poi sopraggiunge un giovinastro esagitato, tale Kyle Budwell (Jack O’Connell), che provvisto di pistola e di un corsetto pieno di esplosivo cattura il conduttore Lee Gates (appunto Clooney) e sempre più alterato spara, smania, minaccia tenendo in ostaggio l’intera troupe televisiva, compresa la produttrice del programma, Patty Fenn (Julia Roberts) vanamente impegnata a salvare il salvabile.
Mano a mano che il racconto si dipana il ritmo si fa via via precipitoso, incalzante sia nei dialoghi concitati, sia nella successione degli eventi. Infatti, la situazione al principio allarmante si aggrava di ora in ora e tuttavia l’intervento massiccio della polizia, il richiamo affannoso della giovane moglie incinta (protagonista di una scenata violenta all’inetto marito), tutti i possibili responsabili della sparizione dell’enorme somma (800 milioni di dollari) trafugata con espedienti bancari giustificati con misteriosi algoritmi nulla riescono a ottenere per risolvere, senza cruenza di sorta, l’ingarbugliata faccenda.
C’è in questa storia tirata via come un thriller d’altri tempi un rimando vistoso ai vecchi film-urlo di Sidney Lumet Quinto potere e Quel pomeriggio di un giorno da cani, ma Jodie Foster ha aggiunto di suo una sorta di esplorazione tutta contemporanea ove il dato sociale, oltre il proposito di denuncia civile delle malefatte della finanza, prende risalto e incisività polemica (fors’anche politica) assolutamente efficace. Non a caso, George Clooney così spiega il senso sostanziale di Money Monster: “Il film parla del cortocircuito tra informazione e intrattenimento. Da quando le reti televisive hanno scoperto che le due cose possono stare insieme, producendo ascolti e guadagni, il sistema è imploso. Gli ascolti sono saliti, le inserzioni pubblicitarie sono aumentate, l’informazione è stata distrutta”.
È proprio su questa traccia che il film dirotta dopo il trafelato rincorrersi tra conversari convulsi e colpi di scena vertiginosi (con qualche prevedibile indulgenza nel finale tragico) in un acquietato clima di riflessivo indugio sul destino di chi, sprovveduto di tutto, non sa (non può) che naufragare nel fallimento di ogni sua pur prodiga dedizione ad una dignitosa esistenza.