Lo spettatore accorto
TI REGALO UN ANELLO
Ideazione e regia Elsa Agalbato e Fabio Sargentini.
Attori: Francesco Bonomo, Irene Petris, Mauro Racanati. Luci Giuseppe Tancorre, suoni e musica Paolo Guaccero, scenotecnica Paolo Nunzi Pino e luigi Cirillo.Consulenza artistica Claudio Palmieri, assistente alla regia Sonia Andresano, monili Carla Salanitro. Ufficio stampa curato da Arianna Antoniutti.
Di scena alla Galleria L’Attico di Roma
“ Un anello in vetrina attira una coppia di fidanzati. Il proprietario del negozio li mette in guardia sul suo potere, mentre i manichini di Tex e Valentina si animano di vita propria… L’anello, nella giusta mano, si rivela un attestato di fedeltà all’arte e al teatro.”
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Uno dei caratteri principali del teatro contemporaneo di Elsa Agalbato e Fabio Sargentini scaturisce dall’idea di ambientare l’allestimento in un contenitore scenico originale che possa anticipare, con i materiali scenico-espressivi utilizzati, i contenuti surreali della storia da rappresentare come incantesimo per mettere in luce le commistioni creaturali del costrutto testuale che può avvenire tra teatro e mondo del fumetto.
E’ in questa installazione scenica, costruita come “complemento mentale” del testo, che gli attori conferiscono uno straniato, visionario sodalizio tra la scena e le arti visive. Perché proprio l’ideazione scenica e la regia appartengono ai linguaggi dell’arte figurativa, ovvero al teatro fatto di ready-made, per cui il parlato e la gestualità attorale viene assorbito ed amplificato dalla presenza scenica di manichini, ispirati al fumetto, verosimiglianti gli interpreti.
Al centro della storia Ti regalo un anello, c’è una vetrina con esposto un anello con zaffiro blu notte, circondato da una corona di luccicanti diamanti. Una coppia entrando sul proscenio viene attirata da quella vetrina di negozio di gioielleria dov’è esposto il vistoso anello.
Il grande vetro simulato della vetrina dell’orafo funge da diaframma come quarta immaginaria parete tra il palco e la platea, attraverso il quale il pubblico osserva l’azione, divenendo l’escamotage installativo di tutta la vicenda. Ruotano con lentezza suadente cinque distinte mani in plastica per l’esposizione di un importante anello e altrettanti monili, diventati la piattaforma di un carillon meccanico, sul quale si ferma l’attenzione dei due personaggi che guardano con interesse mentre cercano di oltrepassare la “soglia di un’amicizia amorosa” attraverso quel gioiello che l’uomo vuole regalare alla donna come suggello d’amore.
Frasi, suoni e immagini del donare rientrano nell’inesauribile serbatoio dell’immaginario artistico/letterario, dove quell’anello “magico” sembra essere preludio di aspettative. Un meccanismo che disambienta, svia, porta a inventare un “gioco di spostamenti” finalizzato a proiettare situazioni di palese humour, in modo da convertire l’azione del dono in slittamenti di senso.
Il proprietario della vetrina mette in guardia la coppia riguardo l’anello che si dice abbia un potere occulto: una volta infilato al dito… avrebbe reso vana qualsivoglia promessa di fedeltà. E qui gli interpreti sfoggiano una scioltezza accattivante, che sembra divertire per primi loro.
Intanto i manichini in vetrina, con le sembianze di Tex e di una Valentina virago, crepaxiana, con il caschetto nero, alter ego perfetto della coppia – nella sfrenata fantasia scenica di Agalbato e Sargentini – si animano e agiscono da esseri in carne ed ossa, in quanto la scena onirica si erotizza suggerendo un iperrealismo distopico con un carattere “americano” sfociante oltre il dato reale, dove gli attori si mimetizzano con quei manichini- sosia, anche da un punto di vista anatomico, vestiti e veri accessori, in una visione che va al di là della realtà, stravolgendola.
Sono il ritmo delle battute e la mimica del fumetto inserito nel teatro di prosa a esaltare l’allegoria dell’anello. La bella Valentina, con lingerie provocante, e carattere graffiante, inquieto, dimostra di essere una donna decisa a raggiungere il suo scopo in un mondo di uomini fascinosi perché facoltosi, pronti a comprarla.
Succede qualcosa… buio totale. Nell’oscurità un fragoroso rumore di vetri infranti denuncia una distruzione che la finzione stessa può innescare infrangendo le barriere fisico-percettive. Mentre il riaccendersi delle luci rivela il proscenio cosparso di frantumi vetrosi, reali e non simulati. Anche sbigottire gli spettatori è lo scopo principale di questa tipologia di teatro surreale, che invita a mettere in atto una serie di riflessioni su problematiche linguistiche più complesse: la violenza esercitata sugli oggetti, che a volte l’artista presentifica grazie all’ausilio, non di parole, ma di flasc-back d’immagini.
Il piccolo teatro dell’Attico, attraverso la sua specularità si sdoppia, prospetticamente si dilata, e come memoria eidetica richiama una centralità di teatro urbano. La valenza dell’ideazione registica è stata proprio nell’inglobare la meccanicità del mezzo tecnico su cui la messinscena fa perno. Fabio Sargentini ed Elsa Agalbato hanno infranto l’apparenza residuale del racconto e vi hanno sostituito l’idea, diventata vero motore della ricerca di un atto teatrale estetico e artistico.