Il mestiere del critico
UN NERO D’ ALTRI TEMPI
“Mister Chocolat” di Roschdy Zem. Con Omar Sy (nella foto)
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Verso la fine Ottocento, non è che, persino nella rutilante Parigi, i motivi, gli spunti per allestire, proporre brillanti spettacoli fossero poi granché. Si parlò, in seguito, di belle époque, ma la quotidianità, i dati del reale si palesavano in ben diversi aspetti. Lo sa perfettamente l’eclettico regista-attore Roschdy Zem che, rifacendosi appunto a quello scorcio a cavallo tra Otto-Novecento prospetta la vicenda – un caso limite – di un giovane nero originario di Cuba, Rafael di nome presto ribattezzato Mister Chocolat, che dapprima factotum in uno strapelato circo diventa di lì a poco il partner scanzonato del più colto, elegante clown Footit dando corpo alla coppia più classica degli spettacoli circensi: appunto, il clown Bianco Footit, e quello nero altrimenti definito l’Augusto.
Per congegnare, poi, un racconto di proporzioni abituali lo stesso cineasta ha reclutato due attori di singolare, superlativa attitudine interpretativa: il collaudato fantasista James Thiérrée (oltretutto nipote del grande Chaplin) nel ruolo di Footit e Omar Sy (già mattatore incontrastato nel trascinante Quasi amici). È questa, anzi, la scelta decisamente felice del film Mister Chocolat, dal momento che l’avventurosa ascesa e la precipitosa caduta del pur bravissimo Rafael (o che dir si voglia Chocolat) si articolano proprio sul contrasto, prima semplicemente esteriore, eppoi decisamente discriminatorio sul piano psicologico e sociale tra i due clown. Cui, giusto in quell’epoca né brutta né bella di fine Ottocento persino il “populista” Toulouse Lautrec e i pionieri fratelli Lumière regalarono un inoppugnabile omaggio visivo (Lautrec dipingendoli, i Lumière filmandoli in uno spezzone citato persino nel finale di Mister Chocolat).
In effetti, aldilà dell’originario intento di illustrare una vicenda tragicomica, il regista Zem imbastisce altresì i rispettivi tormenti del travolgente Chocolat – sempre smanioso di fare e strafare per giungere a esiti alti, significativi come il suo rovinoso tentativo di incarnare, a teatro, il shakesperiano Otello ( il primo recitato da un autentico nero) –; e del complessato Footit (oltretutto diviso intimamente dalla sua eterna irresolutezza e dalla latente omosessualità). C’è, in particolare, una graduale trasformazione nella fisionomia, nell’indole del più vitalistico Chocolat, in ispecie per quanto riguarda sia il suo rapporto col pur soccorrevole, solidale Footit, sia la sua tendenza a lanciarsi (allorché di anno in anno può disporre di crescenti quantità di denaro) in spericolate partite d’azzardo e in ancor più dispendiose ostentazioni di lusso, di dissipazioni.
Fino a che giunge il prevedibile redde rationem. Il clima sociale di quei tempi, all’inizio formalmente spregiudicato e tollerante, all’apparire dello spettacolo in cui Chocolat vuol coronare il suo sogno di essere il primo Otello nero sulle scene di Parigi, si incupisce di botto e altrettanto precipitosamente decreta il più bruciante fallimento dell’ingenuo Rafael, riducendolo in fin di vita e ad una desolata fine, ove il solo Footit con amare lacrime compiange quell’impareggiabile amico.
Film calibratissimo, raffinato tanto nelle sue componenti figurative, quanto nelle sue caratterizzazioni esistenziali, Mister Chocolat rischia talvolta l’allentamento della tensione drammatica allorché indugia soverchiamente nella duttilità interpretativa dei due protagonisti, o, ancora, nel dilatato spazio alle rituali pantomime comiche dei clown che, pur, hanno dato origine alla classica definizione di clown Bianco (una specie di Pierrot già reso celebre da Barrault negli Enfants du paradis) e Augusto (variamente evocato spesso da Federico Fellini). Certo, base e fulcro dell’intera favola emergono da una perorazione sempre sotterranea e quindi scopertamente polemica della lotta secolare (tutt’ora in atto) contro razzismo e oppressione sociale. Calamità contro le quali, Mister Chocolat ha mosso prodigamente guerra rimanendone schiantato. Almeno così racconta la cronaca reale dell’ascesa e della caduta del giovane nero di Cuba, Rafael.