Il mestiere del critico
INCOMPRESO
Ma non astioso- Buster Keaton e i “Fotogrammi” di Danilo Amione
Buster Keaton: testardamente triste per offese ancestrali e tenute ‘in serbo’, per lacrime già ‘tutte piante’ sino ad essiccarne le ghiandole. La presenza su questa terra come precipizio d’una estrema ‘ingiustizia’ (Gorgia da Lentini). Il più vicino all’ eterna Crisi della ‘sensibilità europea’, post romantica, degli interpreti hollywoodiani, e della sua presunta età dell’oro. L’uomo non senza qualità, ma dalle qualità espropriate, deturpate, esodate dall’esubero dei poteri fisici e metafisici. Avremmo dovuto capirlo, se non fossimo stati bambini, quando venne arruolato in Italia per “Due marines e un generale” (con Franchi e Ingrassia più congruo onorario).
Non so se l’abbia detto Barthes, ma fa lo stesso “Tre scatti fotografici, in tre fasi diverse della vita di un uomo… possono dartene la visione d’insieme” – L’ incipit del film è un’immagine lattea, sfocata, dunque priva di contorni demarcativi. Un’opera aperta, forse- poi messa a fuoco su dettagli del viso del Keaton giovane, mite, mesto, ma non dimesso: anzi fiero di una propria inesplicabile diversità (dalle ‘belve’ del cinema muto, ove “non vinse alcuna guerra” né giocò “di boxe”). Buster disarmato per autodeterminazione, (u)morale rifiuto della barbara furia (equivocando Nietzche?) che sonnecchia nel ventre di chiunque abbia patito stenti, iniquità, sopruso. E poi quei suoi ‘occhi a pàmpana’, vividi di risentimento trattenuto, sorvegliato, persino ‘angelico’- ma non declinati al perdono. Sapere e tenere tutto per sè, scegliendo il mutismo (che tutto ascolta) come spiazzante arma di difesa, di introversa e retroflessa stima di se stessi.
La ‘cinepresa dello sguardo’, che è nelle ‘corde’ (tattili, percettive, olfattive) di Danilo Amione coglie tutto con defilata (impalpabile) sobrietà, illuminazione intellettiva, dono di sintesi (nella brevità del piano sequenza che si consolida sua cifra poetica), come nel precedente omaggio ad Antonioni, attraverso il metodo della metonimia e della sineddoche (quando il particolare rimanda al suo contesto) .
Keaton fotografato di spalle, con cappello stretto e sgualcito, a fianco di un rettangolo (quadro o specchio opaco?); Keaton che osserva Keaton e ne resta sbigottito; Keaton dietro le sbarre, reali e allegoriche, con camicia slacciata e cravatta lisa, striminzita- mani aggrappate al ferro per esigua forza sfinita. Stoicismo, desistenza, resistenza di Sisifo o Giobbe. Poi l’uomo anziano, ripreso da Beckett nel suo unico “Film” del ’65 (in fondo, un personalizzato “Atto senza parole”): corrusco, profonde occhiaie, consunto dal disinganno – copricapo inamovibile, infeltrito, sino alla muffa. Buster nostro contemporaneo e “Cameraman” di avamposto: ancora ad occhi fermi, inerti ma accusatori, come la vittima al sollievo del patibolo. Immenso, inarrivabile, post-moderno. Tra i più grandi, ‘ignari’ filosofi dell’immagine e dell’immaginario che in tanti vorrebbero ‘liquefarci’ e ridurre a videogame.