Script & Books

Vincenzo SANFILIPPO- Metastasi del potere (“Porcile” di Pasolini. Regia V. Binasco, Teatro Vascello)

Il mestiere del critico

METASTASI DEL POTERE


“Porcile”
di Pier Paolo Pasolini  regia Valerio Binasco

scene Lorenzo Banci, costumi Sandra Cardini, musiche Arturo Annecchino, luci Roberto Innocenti
personaggi e interpreti: Padre Mauro Malinverno, Madre Valentina Banci,  Julian Francesco Borchi, Ida Elisa Cecilia Langone, Hans-Guenther Franco Ravera,  Herdhitze Fulvio Cauteruccio, Maracchione Fabio Mascagni, Servitore di casa Pietro d’Elia. dal 16 al 28 febbraio 2016
dal martedì al sabato h 21 domenica h 18 | Sala Giancarlo Nanni
coproduzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana / Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
con la collaborazione di Spoleto 58° Festival dei 2Mondi

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C’è una metaforica maledizione tutta interiore  nel desiderio esistenziale di Pasolini di essere divorato, ovvero scegliere di scomparire pur di continuare ad essere se stesso. Pasolini cercava i “piaceri” tra le dune di Ostia, non credo che cercasse il martirio. Andava a cercare qualcosa che gli piaceva molto, che probabilmente a causa del senso di colpa cattolico gli bruciava anche. Ma questa dinamica di deviante desiderio misto a senso di colpa non può essere stato per il poeta una depravazione, una dannazione, ma soprattutto una forma d’amore  piena di  vitalità e sete di conoscenza.

Il testo Porcile è interamente ambientato da Pasolini all’interno di una famiglia borghese della socialdemocrazia di Godesberg, nei pressi di Bonn, impegnata a rilanciare la macro  economia post marxista in Germania nell’estate del 1967. La trama si sviluppa nella Germania del dopo nazismo, nel momento in cui la borghesia, con il suo modo globalizzante di intendere la democrazia, prende il Potere e lo gestisce.

Il dramma è focalizzato in Julian, figlio «né ubbidiente né disubbidiente» di una coppia della borghesia tedesca,  il quale trova nel porcile paterno un amore “diverso, non naturale” che, tuttavia, lui riconosce come scintilla di «piaceri edonistici». La passione misteriosa che segna il personaggio fin dal suo ingresso diviene simbolo del disagio di chi non si riconosce nella società coeva, e si rifugia in qualcosa di  istintuale ma segreto.

Valerio Binasco sceglie, per questo luogo del dramma,  una scenografia similmente cechoviana realizzata da Lorenzo Banci; l’ambientazione  visualizza per l’intero palcoscenico un prospettico pavimento a mattonelle esagonali con sul fondale una parete ad archi da cui si intravedono le brumosità  arboree di un giardino mediterraneo  in controluce.  Si ipotizza di essere  in un esotico Hotel di Taormina. Al centro una panca in travertino.

Un’atmosfera sognante e ovattata, dove tutto diventa stilizzato, leggero e teatrale per questo plot familiare ricostruito come una commedia senza metafore, che poco sembra a che fare con le allegorie metastoriche e generazionali del testo di Pasolini.
Julian, giovane di 25 anni, è corteggiato da Ida, di 17, una ragazza che sembra cercare nell’impegno politico una sorta di senso della vita. Julian è figlio di un ricco possidente e non ricambia l’amore di lei, anzi la sbeffeggia. Indeciso, di animo leggero sulle cose, Julian non si sente partecipe dei tumulti sentimentali di Ida e non vuole impegnarsi nelle manifestazioni alle quali la giovane gli propone di “presenziare”.

Ida delusa è in partenza per Berlino, dove si svolgerà una marcia per la pace.
Il padre e la madre dialogano sul rapporto che lega Ida al figlio Julian: vedono in lui una strana accidia, ma al contempo si chiedono se il figlio sia un rivoluzionario contro i genitori stessi. Mentre Julian li prefigura come dei maiali, alla maniera in cui li avrebbe dipinti George Grosz: sporchi, grassi e laidi. Ricordiamo al lettore che l’opera pittorica di Grosz  è pervasa da una vena altamente ironica e pessimistica da parte dell’autore e costituisce un attacco all’alta società borghese incapace di impedire la tragedia dei  grandi profitti che portarono, all’epoca, inevitabilmente ai conflitti mondiali.

Binasco bypassa, sorvola questa allegoria pasoliniana (peraltro evidenziata a suo tempo nell’allestimento di Massimo Castri che usò delle maschere da maiale; o registi estetici/espressivi come Antonio Latella)  preferendo un allestimento che eviti le metafore figurali e centralizza tutto su l’affabulazione dei sentimenti, dove le parole dei personaggi hanno la centralità  del teatro “diretto”, il teatro-teatro, finalizzato a recuperare le antinomie insite nel discorso  di Pasolini contenute nel famoso Manifesto per il nuovo teatro.

Cambio di quadro scenico e vediamo Ida tornare da Berlino e dialogare con Julian: il ragazzo è sempre disinteressato all’attivismo   di lei e continua a beffarsi dei suoi sentimenti: fa il matto, è sgradevole,  anche spiritoso, alla fine indolente. Emerge da questo dialogo la diversità celata di Julian condannato a vivere la propria diversità che gli provoca un malessere dell’esistenza, anche psicofisico, insopportabile a tutti e a lui stesso.
Nuovo cambio di quadro scenico e vediamo come una strana paralisi blocca per giorni Julian a letto, imprigionato dall’ egemonia  delle “passioni” inespresse. La Madre, cattolica, nel colloquio con Ida paragona il figlio a San Sebastiano, come modello di santità e di pazienza, per i traumi, macchie e ferite che coprono l’epidermide  del suo corpo.


Ecco che un’ulteriore cambio di scena proietta situazioni di “loschi affari” del padre durante il periodo nazista,  che lasciano trapelare situazioni criminosi per natura e per intenti. Hans-Guenter si presenta dal padre e, dopo una disquisizione sullo stato di salute di Julian, rivela che il signor Herdhitze, imprenditore avversario di Klotz stesso, altri non è che Hirt, vecchio compagno di studi del padre che ha subito, per scampare al riconoscimento dopo il suo servilismo al regime nazista, una plastica facciale che gli ha cambiato i connotati.

E vediamo come le maschere dei personaggi di Binasco sono solo camuffamenti interiori, espresse dai loro dialoghi.  Herdhitze, vecchio assassino nazista, ha come testimone dei suoi misfatti un certo Ding, che ha confessato tutte le malefatte dell’uomo. Ding stesso, che ha cambiato nel frattempo il nome in Clausberg, lavora nella riserva di Klotz come bracciante.

Herdhitze e Klotz dopo un “chiarificante” colloquio <>  alla fine del quale si accordano per unire le proprie aziende sotto un unico nome. E’ un riferimento contemporaneo, certo, ma l’aspetto più importante è il dramma che c’è sotto. L’intero dialogo è permeato di sinistre allusioni agli ebrei come a dei maiali. Ricordando un vecchio episodio con protagonista Julian, Herdhitze spiega a Klotz di come suo figlio fosse solito appartarsi nei porcili passando del tempo con i maiali. La rivelazione di zooerastia di Julian è appena accennata in quanto Klotz interrompe Herdhitze.

E’ un passaggio interessante, perché si scivola da un problema di “affari borghesi” a questioni di disgusto.
Julian si riprende dal suo stato catatonico ed Ida, che vorrebbe conoscere il segreto di Julian, lo affronta per sapere cosa impedisce a lui di amarla. Per finzione la ragazza gli rivela che lei è ormai innamorata di un altro, e dunque non lo corteggerà più. Il ragazzo non ne è turbato e le dà il suo addio. Julian sa che non può amare, perché già ama qualcun altro, ed è conscio che il suo affetto è spostato verso “altro” che non sia uomo né donna.

L’epilogo a questa tragedia borghese è affidata ad una dimensione onirica: Julien – il protagonista del dramma, – incontra in sogno Spinoza,  il filosofo che concepisce la filosofia come la via verso la salvezza esistenziale, per cui la presenza e le parole di Spinoza danno alla morte di Julian un significato di estrema salvezza edonistica per lenire le crisi delle passioni (pensiero filosofico diverso da Pascal che affida la salvezza alla fede).
Una delegazione di contadini composta da Clauberg ex Ding, Wolfram e Maracchione si presenta dal signor Klotz. Essi vogliono però parlare con Herdhitze, per cui Klotz si allontana ed esce di scena. Raccontano quindi un terribile fatto appena accaduto: Julian, entrato come sempre nel porcile per accoppiarsi ai maiali, è stato da loro divorato senza lasciare alcuna traccia. Herdhitze chiede se vi siano resti del ragazzo: non ve ne sono, e chiede loro il silenzio.

Il Silenzio dell’omertà si è imposto, quale ultimo atto antropofago, finalizzato a decifrare gli enigmi pasoliniani.  
Spettacolo ben composto e recitato all’insegna del “ritorno all’ordine”.  Prolungati gli applausi della platea del teatro Vascello.