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Sauro BORELLI- Guerra e pace al Luovre (“Francofonia”, un film di Alexandr Sokurov)


Il mestiere del critico



GUERRA E PACE AL LOUVRE

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“Francofonia”, un film di Alexandr Sokurov

 

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Non è cosa facile maneggiare in qualsiasi maniera un autore e, di riflesso, il cinema di Alexandr Sokurov, un siberiano che dalla lontana Irkutsk è approdato ormai da tempo – non senza prolungati triboli e reiterate peripezie (per il solo fatto di essere stato amico e allievo del tormentato Tarkovski) – sugli schermi occidentali con film di originalissimo impianto drammatico ( Arca russa, Faust, oltre le più datate Elegie) e suggestioni narrative sofisticate. La sortita, ora, del suo nuovo Francofonia, una realizzazione faticata per la controversa coproduzione con l’istituzione prestigiosa del Louvre di Parigi, ripropone d’attualità tanto il modo quanto il perché “fare cinema” di Alexandr Sokurov tirando in campo questioni capitali quali l’influsso determinante dell’arte nella storia umana e, ancor più, un excursus storico-morale sui casi, le vicende che in secoli e secoli di eventi fausti e infausti che ci hanno condotto all’attuale, lamentevole stato delle cose.

Per dire, del resto, qual è l’autentica attitudine di Sokurov riguardo alle sue personali esperienze creative basta la frase che ha detto en passant per spiegare perché e come faccia determinati film anziché altri: “Il cinema non è la mia passione, è solo la mia professione”. E, appunto, sulle traccia di simile convinzione ha strutturato informalmente il suo nuovo Francofonia per ripercorrere – come fece per i suoi precedenti, apprezzatissimi Arca russa (sull’Hermitage di san Pietroburgo) e Faust (poema ermetico già premiato a Venezia 2014) – fatti storici, episodi e personaggi significativi dalla prima creazione dell’imponente Louvre ai nostri giorni. C’è, peraltro, un confluire di tracce in questo film, diciamo così plurimo, teso a mostrare, a dimostrare i momenti chiave di un’avventura non soltanto genericamente storica, ma altresì sociale, politica, esistenziale di una umanità costantemente alla ricerca di se stessa, del suo faticato ubi consistam, con fughe, digressioni di qua, di là proprio per capire a fondo il peso dell’arte e il suo ruolo determinante nelle esperienze di tutti.

A innescare una sorta di racconto, mai lineare né convenzionale, Francofonia mette in campo come pretesto narrativo iniziale la “conversazione continuamente interrotta” di un ruvido capitano di una nave persa nella tempesta, timoroso della salvezza dei preziosi dipinti collocati in enormi container (destinati a finire in mare per salvare l’equipaggio) con un più quieto funzionario (si suppone parigino) che segue con tranquillo distacco l’evolversi della situazione. È ben evidente che questo incipit (che ingloba in sé ieratiche “citazioni” dei grandi russi, Tolstoj, perso nel sonno o nella morte, e l’estatico Cecov, anch’egli inerte e catatonico) si basa su un intreccio di metafore (i fasti dell’arte, le ragioni e le sragioni di tanti drammi contraddittori) per prospettare storie, immagini, protagonisti di una epopea tutta aperta e incompiuta.

Su questo terreno, contrappuntato dall’irruzione continua di elementi reali o di folgorazioni immaginarie, si inseriscono, nel prosieguo di una visitazione curiosa e insieme preziosa, tre coppie di presenze che per sé sole si condensano nella segnaletica più scoperta dell’intento didattico-pedagogico di Sokurov: mettere in guardia l’Europa e più latamente la civiltà occidentale dai pericoli dei nuovi contemporanei barbari (terroristi, in primis). Tra queste stesse coppie di personaggi emblematici risaltano subito il direttore del Louvre (ai tempi della occupazione nazista e del governo di Vichy) Jacques Jaujard e l’ispettore nazista per i beni culturali il colto, nobile Franziskus Wolff-Metternich, apparentemente “nemici” e, in effetti, contigui, complici per il salvataggio dalle mire dei gerarchi di Berlino e di Hitler medesimo dei tesori del celebre museo.

Di inquadratura in inquadratura all’interno (e fuori) dal Louvre si snoda la documentata incursione tra quadri, statue, arredi delle plurisecolari raccolte d’arte. E, tra queste comparizioni – anch’esse connotate da un ammonitore sostrato metaforico – balenano le figurine un po’ patetiche, un po’ ridicole dell’altra coppia vagolante per corridoi e sale all’infinito: la macilenta, cantilenante Marianne (simbolo di una Francia umiliata e offesa che ripete in sordina: liberté, egalité, fraternité) e un borioso, stolido Napoleone perso nell’esaltazione di sé stesso: c’est moi, c’est moi di fronte a ogni quadro della sua epoca. La terza coppia, come si diceva prima, resta quella un po’ esterna al fluire delle vicende e delle figure del ruvido capitano e del suo interlocutore parigino (doppiato con bella prova interpretativa da Umberto Orsini) che, di fronte al frangersi rovinoso delle onde marine e dei rivolgimenti sociali-politici della storia tout court, si acquietano in una constatazione un po’ disperante.

Il corpo centrale di un film, pure atipico come Francofonia, risulta, per forza di cose, la convivenza forzata ma civilissima del duo Jaujard-Metternich qui chiamata a dare conto come, da una parte e dall’altra, anche in nome di una pur vetusta concezione civile, l’arte, la cultura costituiscono sempre e comunque un baluardo potente contro ogni oltraggio demolitore, pur se, oggi, in Siria e nel Califfato tutto sembra dimostrare il contrario. Senza alcuna foratura retorica né predicazione di sorta il funzionario parigino e quella nazista approderanno – insieme al patrimonio artistico da loro preservato – al tranquillante golfo della pace. Ma se, l’uno, Jaujard, finirà presto i suoi giorni in una spenta anonimia, l’altro, Metternich, arriverà indenne fino agli anni Ottanta, rispettato e premiato con larga dovizia di riconoscimenti. Sic transit gloria mundi.

Il monito di Sokurov si distende, si scioglie armonicamente su tutti questi elementi narrativi assumendo di quando in quando brillanti barbagli poetici o sorridenti indugi ironici. L’esito, in complesso, appare certo di un livello stilistico superlativo che, se non raggiunge la maestria del prolungato piano sequenza del memorabile Arca russa, si addensa peraltro in una apologia appassionata del “credo” di Sokurov: soltanto l’arte, la cultura salveranno il mondo. E con esso anche la nostra pur turbata esistenza.