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Sauro BORELLI- La Germania reticente (“Il labirinto del silenzio”, un film Giulio Ricciarelli)

 

Il mestiere del critico



LA GERMANIA RETICENTE

“Il  labirinto del silenzio”, un film di Giulio Ricciarelli

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Ci voleva un personaggio ibrido come Giulio Ricciarelli – nato a Milano ma da sempre vissuto poi in Germania – per affrontare l’ostico tema delle infide reticenze e renitenze dell’opinione pubblica tedesca, specie negli anni ’50-60, nel vivere l’arduo compito di fare debitamente i conti con gli orrori del nazismo e della guerra. È nato così Un labirinto di bugie candidato all’Oscar come migliore film straniero.

Non che, in questo stesso senso, non ci siano stati, in periodi diversi, precedenti significativi. A partire dal dolente compianto di Roberto Rossellini, Germania anno zero, stilizzato nella straziante vicenda di un ragazzo disorientato tra le macerie (non solo fisiche) della metropoli rasa al suolo; continuando con Vincitori e vinti di Stanley Kramer, rigoroso quanto puntuale rendiconto del processo di Norimberga e dei suoi strascichi pubblici; e, ancora, con Germania in autunno, “radiografia collettiva” della Germania nell’autunno del 1977 realizzata dai nuovi cineasti tedeschi – Kluge, Reitz, Schloendorff, ecc. – e poi, più ravvicinato, con Gli anni di piombo di Margarethe von Trotta, un episodio psicologico affettivo sul terrorismo a Berlino, l’attenzione dei maggiori autori si è certo interessata della storia e ancor più degli eventi capitali avvenuti, appunto, in Germania.

Il fatto piuttosto vistoso risulta, peraltro, che nell’immediato dopoguerra e fino agli anni Sessanta una larghissima parte del popolo tedesco non ritenne di dover in qualche modo confrontarsi criticamente con il recente passato. E, di più, mostrandosi particolarmente longanime (se non proprio connivente) verso i tanti, troppi, gerarchi nazisti responsabili di crimini efferati.

Ebbene, su questi precisi dati della realtà ha realizzato il suo film, Il labirinto del silenzio, il cineasta italo-tedesco Giulio Ricciarelli , basandosi sull’innesco di un processo avvenuto nel 1958, protagonista un giovane procuratore determinato a perseguire un noto insegnante (a suo tempo SS ad Auschwitz), lavora di indagine sino a provocare una generale attenzione verso centinaia di casi analoghi- a lungo ignorati o volutamente taciuti da un’omertà complice e oggettivamente colpevole quanto i nazisti occultati nelle attività più diverse.

Ricciarelli – già attore, teatrante – constatato che tutto questo “labirinto” era, specie oggi, misconosciuto o accantonato nel limbo delle cose obsolete, ha preso di petto la questione e allestendo sulla base dei fatti prima ricordati una vicenda che ripercorre gli sforzi e il merito dei pochi che hanno voluto a suo tempo dare risarcimento all’incontestabile verità. Una vicenda, si direbbe, esemplare delle tormentate situazioni verificatesi in Germania negli anni Sessanta – Settanta, che così Ricciarelli spiega sommariamente: “È la storia di un ristretto numero di uomini che con grande sforzo costringe una intera nazione a guardarsi indietro”.

Oggi, un film come Il labirinto del silenzio realizzato da un cineasta dalle ascendenze spurie quale Giulio Ricciarelli potrebbe destare ancora critiche aprioristiche e fuorvianti, ma Ricciarelli stesso così chiarisce: “C’è stata la volontà politica di fare questo medesimo film. In Germania è stato visto da 250’000 spettatori, venduto in molti Paesi (compresa l’Italia) e infine candidato all’Oscar quale opera straniera”. Anche se qualche problema esiste. “In Germania resta il pregiudizio: io sono italo-tedesco, ma per i tedeschi resto l’italiano allegro e compagnone, per gli italiani sono semplicemente un tedesco”.

In effetti, la cosa è spiegabile anche perché è  passata la stagione dei “nuovi autori tedeschi” – oggi ormai nell’Olimpo dei Maestri (Wenders, Herzog, Reitz, Schloendorff, ecc.) – mentre la globalizzazione ha bellamente spazzato via qualsiasi caratterizzazione nazionale di questo o quel cinema; per proporre, viceversa, produzioni o anglosassoni (in inspecie americane) o genericamente cosmopolite. Il film di Ricciarelli, in tale contesto, rischia di essere la classica mosca bianca in uno sciame di mosche nere. Ciò non significa che sia un film inessenziale, ma piuttosto il contrario.

Tanto più che, Ricciarelli ha l’aria di avere un carattere piuttosto tosto fino a dichiarare a metà umile a metà orgoglioso: “Ho fatto l’attore di teatro a Monaco, cinema e tv. Non sono una star ma la gente mi conosce. Ad un certo punto ho capito che volevo il controllo dei film, forse è il mio lato tedesco. Ho girato tre cortometraggio, poi ho aspettato un copione forte ed è arrivato quello di Elisabeth Bartel, appunto Il labirinto del silenzio che ho elaborato con lei”. C’è da dire ancora che Ricciarelli non finisce qui, già parla di un altro lungometraggio come quello sul tema degli immigrati. Certo, non si può dire che ami la vita (e il cinema) facile.