Il mestiere del critico
UNA FAVOLA COLMA DI POESIA
“Bella e perduta” , quarto film di Pietro Marcello
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Pietro Marcello è un cineasta atipico che racconta storie atipiche, con un linguaggio atipico. Insomma, per lui il cinema è un tramite soltanto accidentalmente definito, poiché quel che gli preme di esprimere risulta in effetti una storia intrecciata di realtà e di immaginazione, di prosa e di poesia. Poco meno che quarantenne, originario di Caserta e immediati dintorni, Marcello ha già all’attivo alcuni film certo di non effimero senso: parliamo di La bocca del lupo (primo premio a Torino), Il passaggio della linea, incursione eccentrica in un’Italia (quasi) segreta, Il silenzio di Pelesjan, opere di concezione sofisticata attuate con un mestiere già maturo e originale.
Ora compare sugli schermi commerciali questo suo nuovo film Bella e perduta, mutuando il titolo dal celebre Va’ pensiero del Nabucco verdiano, inno appassionatamente patriottico teso ad esaltare, sotto le sembianze dell’oppressa Israele, l’altrettanto schiavizzata Italia pre-risorgimentale. Ma tale ricalco storico non dura più di qualche tempo. L’intrusione del personaggio Tommaso singolare pastore di Carditello (la reggia borbonica ormai in disuso e dallo stesso Tommaso curata e difesa contro saccheggi e rovine) imprime al racconto tirato via per frammenti e scorci enigmatici un esito tutt’altro significativo. Ovvero, allorché il povero Tommaso viene colto dalla morte il solo lascito che rimane è un bufalotto di nome Sarchiapone tutelato, per l’occasione, da un Pulcinella spuntato fuori dall’inferno, affinché salvaguardi a sua volta le sorti del degradato luogo di Carditello, oggi rischiosamente al centro della cosiddetta “terra dei fuochi”, zona infestata dalle più bieche gesta della mafia.
L’aspetto peculiare di questa vicenda intrecciata con riti e miti che dal fumoso passato riverberano in un anche più corrusco presente vede appunto in campo Pulcinella che insieme all’indifeso bufalotto Sarchiapone si avventurano dalla Campania degradata alla più amena Tuscia, senza peraltro trovare né compensazione né risarcimento alcuno per le loro imprese sbrindellate.
Si avverte subito in simile traccia narrativa piuttosto labile e svagata l’intento di dare, per illuminazione e bagliori ricorrenti, una rappresentazione più poetica che prosastica di un mondo, di una zona d’ombra ove realtà e sogno, premonizioni ed eventi si mischiano, si sciolgono, si ricompongono in una saga ove la fantasia prevarica lo stato effettuale delle cose. Proporzionato e ritmato da testi e parole quasi ermetici ma mossi da una ambigua forza drammaturgica, Bella e perduta assume così la dimensione di un’opera al contempo radicata ad una oggettiva visione delle cose e a suggestioni poetiche native, tanto da condensare in essa – a parte forse qualche indugio o sfasatura narrativa – un estro e una complessità espressiva che per sé soli colorano le vicende e le sue varie diversioni e conversioni in un gioco poetico trascinante, prezioso.
Certo, Pietro Marcello è un cineasta sui generis che sembra voler spogliare il suo film di ogni allettamento esteriore, per puntare ben altrimenti verso un approdo permeato esclusivamente di meditata malinconia.