Lo spettatore accorto
AL DISPERATO BANCHETTO DELLA SPERANZA
Mercoledì 25 febbraio 2015, alle ore 11.00, avrà luogo a
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“Lampedusa Snow” di Lina Prosa al Teatro Biondo di Palermo
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Siamo giunti al secondo capitolo sul dramma dell’emigrazione, quella Trilogia del naufragio che ha aperto le porte della Comédie française a Lina Prosa, autrice-regista feconda, colta e raffinata che mitizza il quotidiano per farne oggetto di partecipe riflessione. La Prosa accende i riflettori sull’umanità orfana di valori e riferimenti, ancora vittima, nonostante certa opulenza geograficamente delimitata, di dolorosi contrasti e divisioni tra chi la vita può concedersi il lusso di viverla e chi invece la subisce.
Lampedusa Snow, di scena alla sala Strehler del Biondo che lo ha prodotto come il precedente Lampedusa Beach, è la storia di un altro naufragio, non più di mare ma di montagna. Dal moto discendente si passa a quello ascensionale, ma l’approdo purtroppo è sempre la morte. La volontà di riagganciarsi al precedente lavoro della trilogia è evidente.
Anzitutto la scelta del tempo della narrazione, quello dell’annegamento della donna del barcone dei disperati in Lampedusa Beach parallelo a quello della salita alla vetta alpina del giovane ingegnere elettronico Mohamed, tempo in cui i protagonisti mettono a fuoco i propri percorsi umani e li riattraversano con tutto il loro carico di speranze e di sconfitte
Poi la scenografia che ripropone quinte illuminate dalla forza evocatrice di immagini video e una pedana obliqua su cui il sorprendente Federico Lima Roques si fa macchia scura, seppia sul bianco della neve; e infine i temi, sviluppati nel consueto linguaggio prezioso sorretto da scelte lessicali mai casuali, che sono ancora quello del distacco dalla propria terra, l’Africa mitologica e materna, e quello del tentativo di farsi accettare in una Terra, in questo caso l’impero, termine usato affinchè risuoni l’eco della grandezza romana, in cui la beneficenza è pratica ormai diffusa come dimostrazione di compassione coltivata ed esistente, senza però passare al gradino successivo dell’abbraccio e dell’integrazione.
Il ricco Occidente porge con una mano e toglie con l’altra, salva i naufraghi lampedusani e poi li spedisce sulle Alpi (è questa la cronaca da cui parte l’autrice) in attesa del disbrigo delle formalità burocratiche necessarie per ottenere l’asilo politico. Il primo successo per quei poveri corpi oggetto di commercio e di rapina, è non morire, e la morte ovviamente non è soltanto quella fisica, esistono la decadenza interiore e la certezza che i posti nel banchetto della speranza siano stati già tutti occupati, così il proprio passato sopravvive nei sogni che si fanno canto e ritmo di mani (la solida preparazione vocale è di Miriam Palma).
La regia è nitida e pulita, la Prosa non tenta di vivacizzare artificialmente il proprio monologo, i gesti sono misurati e lievi, lo spettacolo è affidato essenzialmente alle parole e alla bella prestazione dell’interprete. Sullo sfondo innevato, il freddo diviene grande protagonista, metafora del gelo che stritola chi lascia il calore vivificante delle proprie radici e dei propri affetti, e con esso emergono piccoli brandelli di Storia, dagli elefanti dell’africano Annibale alle lezioni pratiche e morali del vecchio partigiano che insegna al giovane clandestino le regole base per la Resistenza.
Nella disperata ricerca di un altro valico, di un’altra vita possibile, di un altro inizio probabile, si fissano nella memoria dello spettatore l’abbraccio al camoscio ferito, al quale sottrarre gli ultimi istanti di calore, e quella macchia di sangue che rompe il bianco e nero della neve e della pelle, bellissimo accostamento cromatico che può ancora determinare la sorte degli uomini.