Teatro Lo spettatore accorto
L’ IMPORTANZA DI ESSERE… WILDE
Appunti su un recente allestimento di Geppy Gleijeses (“L’importanza di chiamarsi Ernesto”, prod.Teatro Quirino di Roma)
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Una tra le più celebri commedie di Oscar Wilde, un delizioso, raffinato ricamo di dialoghi ironici perfettamente incasellati in una strutturata forma a incastro, è “ L’importanza di chiamarsi Ernesto” messa in scena da Geppy Gleijeses che ha indossato i panni del protagonista Jack/Earnest e curato la regia. Rappresentato per la prima volta nel 1895, è l’ultima opera prima del declino di un autore tra i più acclamati e discussi di fine ottocento, accusato e processato per sodomia, in prigione per due anni per poi vivere miseramente nell’anonimato fino alla morte. Questo “ Ernesto”, fiore sbocciato in tutto il suo splendore antivittoriano è dunque una sorta di testamento artistico, spietatamente vibrante di scoppiettante genialità, soffocato nel fango di una società, fatua e falsamente moralista, pronta a lanciare i suoi strali mortali alla vittima di tur
La scena si apre su un salotto fin de siècle, dominato da un gigantesco San Sebastiano, di Guido Reni, opera tra le più amate di Wilde, e da un narghilé, evocativo di ammiccanti orientalismi, a cui attingono i due cugini dalla personalità ambigua e giocosamente doppia, Jack e Algernon (un’opportunamente algida Marianella Bargilli, in abiti maschili). Entrambi hanno inventato un loro doppio, un fratell
cknell a confronto. Jack, ( un Gepi Gleijeses gradevolmente indolente e misurato) innamorato ricambiato, ha osato chiedere la mano di Gwendolen e dunque è sottoposto dalla Lady a un incalzante interrogatorio che rivelerà le oscure origini dell’aspirante.
Con raccapriccio Lady B. scopre che il non più giovane Jack(si fa chiamare Earnest )è un trovatello, rinvenuto in una borsa presso il deposito bagagli della stazione Vittoria.( Notare l’ironia del nome). Il veto al matrimonio e l’uscita plateale di scena di Lady Bracknell chiude questo esilarante rendez vou.
La scena successivamente si sposta in campagna, dominata dallo sfondo di un suggestivo e inquietante bosco ( metafora del destino incombente), dove i nostri sedicenti cugini incontrano le promesse spose, la diciottenne Cecil,( una fresca e determinata Giordana Morandini) adottata dal nobile d’animo Jack, di cui si innamorerà Argenor, giunto sotto le mentite spoglie dell’inventato Ernest, incuriosito da questa adozione. Tra ambiguità e sapidi duetti si snoderà l’ artato intreccio, fino all’esito finale.
L’ anziana istitutrice di Cecil, Miss Prism, e la sua distrazione saranno al centro di una misteriosa vicenda che scioglierà positivamente l’enigma della nascita di Jack, rivelatosi di nobili natali, assicurando un sempre più ironicamente sottile lieto fine.
Commedia per palati raffinati, questo piccolo, intramontabile gioiello della drammaturgia inglese, nelle intenzioni della regia propone un prospettico parallelismo con la vita dell’autore, il vero protagonista della pièce, godibile certamente nei suoi irriverenti ghirigori estetizzanti, ma non per questo priva di profonde riflessioni sui mali del secolo: l’ipocrisia e l’abuso del potere. La regia ha invitato a questo scorcio, sollecitando l’attenzione dello spettatore alla vicenda umana di Wilde. Un omaggio ad un’arte che, sotto lo scintillio dell’ironia, lascia trapelare l’amarezza di una personalità coerente con i suoi canoni estetici fino a compromettere la propria esistenza.
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Teatro Quirino di Roma, Teatro Verga di Catania
Attualmente in tournèe