Angelo PIZZUTO- Le vite-spiate- degli altri (“Pornografia” diretto da Ronconi al Teatro Argentina)

 


Il mestiere del critico




LE VITE  -SPIATE- DEGLI ALTRI

All’ Argentina di Roma e al Piccolo Teatro di Millano, “Pornografia” di W.Gombrowicz, regia di Luca Ronconi

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Le recenti rappresentazioni al Piccolo di Milano ed all’Argentina di Roma consentono di esprimere un parere più sedimentato rispetto all’ultima impresa di Luca Ronconi, elaborata a Spoleto, lo scorso anno, nell’ambito  del Festival dei Due Mondi, e dedotta (con analisi millimetrica, iper-cerebrale) da una dimenticata opera dello scrittore  polacco Witold Gombrowicz (1904-1969), più noto (e rappresentato) per via di “Operetta”, “Ivona” e “Il matrimonio”, orbitanti nella galassia del ‘teatro dell’assurdo’ con molte propaggini di ‘non sense’ ‘crudeltà’.

“Pornografia” (1962), già lo sappiamo, è qui da intendersi priva di scandali, sensazionalismi, surriscaldamenti da  ‘épater le bourgeois’: dunque  in senso ironico, non letterale e men che mai triviale. Semmai connessa (la ‘pornografia del titolo)  ad una certa ossessione dello ‘spiare’, quindi del voyerismo inconsapevole (quasi risibile), prolungato sino alle sue estreme  conseguenze mediante una sorta di ‘piano sequenza’     raffigurante  palpebre ‘voraci’ disseminate   in lungo e in largo sulla tela di fondo scena.

Semplice   nella sua spoglia  apparenza, contorto sino allo stremo del virtuosismo narrativo (del ‘resistere in sala’)  è lo snodo  narrativo. Che ha luogo a Varsavia, durante i freddi giorni dell’ultima guerra, messo in moto  dall’incontro di due stagionati mattacchioni, , Witold e Federico, interpretati rispettivamente da Riccardo Bini, di cui è lampante  la somiglianza scarna e  canuta  con Ronconi;  e da Paolo Pierobon, di caparbia derivazione dostoevskiana, in particolare da quel ’romanzo nel romanzo’ che sono le pagine dei  “Fratelli Karamazov” ispirati alla  Leggenda del Grande Inquisitore.

In una una casa di campagna, dove sono ospiti, Witolt e Federico  si imbattono in una coppia di adolescenti, Enrichetta e Carlo, che -ai loro occhi- sembrano  attratti da passione reciproca, intimidita nel  tradursi in sfogo della libido”. Tanto più che il reciproco  trasporto dei ragazzi non sembra covare nulla di  ‘desioso’,  nutrendosi semmai di  un sentimento assai prossimo a quello dell’amor cortese, rurale, stagionale.

Gradatamente, ma forzando il destino sino a molestarlo (con pericolosi contraccolpi),  i due sfaccendati  in pieno ‘transfert’, animati da spirito ‘triste e burlone’–attraverso  alcune arguzie e meditate ‘frecce di cupido’  (una gita in collina o un incontro casuale)- inducono  i due giovani ad appagare il loro ‘incontro con Eros’- di cui nulla sanno ma che nulla ‘egli perdona’. Quale la conseguenze? La fine dello ‘spasso’ non lubrico, ma invadente come chiunque scommette sulla vita altrui.  E dunque:  ogni spirito di spensieratezza burlona, in prossimità della vecchiaia, tenderà (per i due aspiranti ‘deus ex machina’) ad  affievolirsi sino a ‘pregustarne’  la meritata (senile) sestinzione. (‘calma invidia per la vigoria e la bellezza da cui ci si congeda per sempre’).   In un clima di crepuscolarismo rassegnato, avveduto ed eccentrico,  che non prevede alcuna forma di pentimento o risentimento, pur se persiste ‘la tristezza per quella gioventù e spensieratezza mai  pienamente vissute da nessuno dei due’

Cosa intende duqnue Gombrowicz (e con lui Ronconi)  per “Pornografia”?  Probabilmente quel sentimento di irreversibile, non rabbioso rammarico che spinge ciascuno dei protagonisti ad una sorta di autocoscienza al termine della quale non può che primeggiare il sentimento dell’inutilità. Quella che il trascorrere dei giorni ‘sordidamente’ vi imprime. Come se la  vera  pornografia fosse (ed è) l’impotenza o la pavidità del  trasgredire le cadenze, i convenevoli, le pedanti stagioni della vita che  svelano la perdita definitiva, lo spreco ingiustificabile di una linfa  interiore, perduta per distrazione (e  fugacità della giovinezza). Dopo la quale non resta fare da spettatori a se stessi e agli altri che non sanno di esserlo.  Un modo come l’altro per sprecare quel breve lasso di tempo in cui si viene scaraventati su  questa terra, indolenti ad altre imprese degne di nota.

Come accennavamo, “Pornografia” è uno spettacolo di ‘alto manierismo’ e di estenuante durata, fondato su quell’eccentrica (ma ormai sterilizzata) cifra espressiva del teatro-letterario, quasi del tutto riottoso al dialogare, ma immerso nel piacere della letteratura ‘raccontata’ in forma di teatro raziocinante, di blanda pantomima, di neutralità sentimentale, con beffarde contorsioni‘spastico\statuaria’ attorno agli elementi scenici. Consistenti nello  scorrere vispo, meccanico, sulla scena nuda e nera (disegnata da Marco Rossi)di poltrone, sedie, arredi, attrezzi agricoli – all’insegna di un preziosismo registico disvelante il cuore ‘etico ed estetico’ della  rappresentazione’. Scandita secondo quel preciso metodo ronconiano, mirante ad esaltare il piacere letterario del testo. Pronunciato non solo con l’uso della prima- persona (momentaneo io-narrante) ma, precipuamente, nell’esternazione delle didascalie necessarie a raccordare un accadimento all’altro. Dandovi, almeno, il  nesso minimo e necessario.

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“Pornografia”    di Witold Gombrowicz    traduzione Vera Verdiani   regia Luca Ronconi  scene Marco Rossi  luci Pamela Cantatore. Con Riccardo Bini, Paolo Pierobon, Ivan Alovisio, Loris Fabiani, Lucia Marinsalta, Michele Nani, Franca Penone, Valentina Picello, Francesco Rossini. Coproduzione: Piccolo Teatro di Milano- Teatro d’Europa, Centro Teatrale Santacristina, in collaborazione con Spoleto 56 – Festival dei Due Mondi.    Di scena a Roma, Teatro Argentina