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Danilo AMIONE- La memoria. Buster Keaton e l’immagine sommersa dalla parola


 

La memoria




BUSTER KEATON

Buster Keaton

E l’immagine sommersa dalla parola

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“Non si vede la stessa cosa quando si sente; non si sente la stessa cosa quando si vede”. Con queste parole lo studioso francese Michel Chion sottolinea come, nel rapporto immagine-suono, una percezione influenzi l’altra e la modifichi. Dunque,se vero che l’invenzione del sonoro ha completato la ripresa fenomenica della realtà, all’interno della quale la parola riveste  un ruolo preminente,è altrettanto innegabile che l’immagine ha così finito, inevitabilmente, col doversi “adattare” ad essa,anche contraendosi a suo beneficio. Nel cinema muto “dire” improvvisamente ti amo significava dover mettere in scena almeno tre,quattro inquadrature perché lo spettatore capisse, mentre con il sonoro tutto può risolversi in una sola inquadratura.

Ciò ha significato che la dinamicità,elemento portante del cinema muto, subisse un profondo cambiamento di senso a contatto con il suono-parola,al punto tale da snaturarsi ,fino talvolta  ad annullarsi. Il caso più clamoroso è, in questo senso,legato alla figura di uno dei massimi autori ed interpreti del cinema di sempre, e muto in particolare: Buster Keaton.   Egli è stato uno dei mostri sacri del cinema di Hollywood, in quella straordinaria stagione del  cinema statunitense degli anni 20 che annoverava tra le sue fila autori del calibro di Charlie Chaplin ed  Erich von Stroheim.

Il suo cinema fu uno sfavillio di continui rovesciamenti di senso: gli oggetti cambiano continuamente forma e contenuto, le azioni semplici diventano complesse e quelle impossibili diventano facilissime, ciò che sembra scontato diventa complicato e viceversa. Nelle sue opere il mondo reale diventa astratto e surreale, tutto ciò che è sbagliato è anche giusto e viceversa. La finzione diventa improvvisamente realtà e la rappresentazione del mondo è più efficace quanto più è artificiosa. I suoi continui riferimenti al teatro, vedi il geniale “The Playhouse”, ’21, e al cinema, soprattutto con il rivoluzionario ”Il cameramen”, ’28, sono paradigmatici di un approccio al racconto della realtà sospeso fra apparenza e verità. I film di Keaton sono basati sulla fisicità e sul continuo movimento, rivelatore dei limiti dettati dalle leggi della  fisica e della natura in cui si consuma l’esperienza umana, cui si accompagna l’immersione dell’individuo nel caso e nelle coincidenze,che ne fanno la vittima di un destino insondabile e sempre in agguato.

A tutto ciò si aggiunge anche il disagio dell’uomo moderno nel rapporto con gli oggetti che si amplifica quanto più essi sono veicolati da una tecnologia sempre più raffinata. L’universalità del cinema di Keaton è tutta in quel suo sguardo perennemente sgomento e attonito, testimonianza di questa ineffabile condizione esistenziale. Esempio massimo di questa poetica è il suo capolavoro “Steamboat Bill jr”,’28(“Bill jr. del vaporetto”). Questa  sua modalità espressiva non resse la novità del sonoro nel senso della parola e del dialogo.  Perché quello di Keaton è cinema puro, l’immagine in movimento è cioè forma e contenuto insieme. Insomma, il sonoro non aveva  alcun senso nel suo cinema , anzi lo danneggiava, lo annullava, come di fatto avvenne. Keaton non riuscì a produrre più niente di significativo, chiudendo definitivamente e tristemente la sua geniale avventura cinematografica.

Unica parentesi felice in questo inevitabile declino furono i  suoi straordinari camei, ovviamente silenziosi, in “Viale del tramonto” di Wilder,’50, e ”Luci della ribalta”, ’52, di Chaplin, e la magistrale interpretazione nello straordinario cortometraggio, naturalmente muto, “Film”, ’65, che può considerarsi il suo testamento spirituale, diretto dal drammaturgo irlandese Samuel Beckett, il poeta del silenzio, che impose la presenza di Keaton alla produzione, pena l’impossibilità di fare il film, ovviamente.