Il mestiere del critico
CRITICA ALLA RAGION COMMERCIALE
Al Teatro Libero di Palermo, Luca Mazzone propone un copione di Pommerat
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Joël Pommerat, autore francese ormai consacrato da pubblico e critica d’oltralpe, giunge in Italia con un testo particolare “La grande e favolosa storia del commercio”, in cui i meccanismi delle vendite e del profitto vengono analizzati con mano leggera ma nient’affatto superficiale. Quella proposta al teatro Libero è, dunque, un’occasione da non mancare per una duplice motivazione: è anzitutto una prima nazionale che porge al pubblico italiano la possibilità di conoscere un autore di indubbio spessore, inoltre, perché il giovane regista e condirettore del teatro, Luca Mazzone, dopo anni di serrata e seria attività negli spettacoli destinati a bambini e ragazzi, debutta nell’ambito della stagione serale a coronamento di un ponderato percorso di formazione effettuato sul campo senza narcisistiche frenesie.
Ne scaturisce una regia sicura e senza sbavature che si concentra sui ritmi rapidi e incalzanti della drammaturgia di un autore amato e quindi assorbito più emotivamente che professionalmente. Quello di Pommerat è un teatro in cui, finalmente, ci si riappropria della parola – la traduzione, attenta nella restituzione di un lessico che mantiene anche l’originaria comicità verbale, è di Caterina Gozzi- e attraverso essa si profilano, con incisivi tratti, personalità diversissime.
Valorizzato da un gruppo di attori capaci e perfettamente sintonizzati – Matteo Contino, Francesco Gulizzi, Luca Iervolino, Massimiliano Lotti e Rosario Sparno – e dalle efficaci luci di Gianfranco Mancuso, che attraverso momenti di buio totale e morbidi riavvii, segnano la scansione cronologica della vicenda, lo spettacolo scivola via veloce, senza che nulla accada effettivamente in scena, perché i mutamenti sono tutti interiori o confinati all’esterno della camera d’albergo (gli elementi scenici sono di Lia Chiappara e di Gianfranco Mancuso) in cui i cinque protagonisti si ritrovano con il loro carico di energie, delusioni, aspettative, precari successi pronti a ribaltarsi in catastrofiche sconfitte.
Dalla televisione, che lo spettatore vede per pochi minuti in proiezione sul fondale o di cui ascolta brevi passaggi, giungono gli echi del maggio francese e della sua rivolta antiautoritaria o dei cambiamenti socioeconomici del nuovo millennio; ma di essi all’autore interessano solo i riflessi e le interferenze possibili con le attività dei suoi agenti di commercio che si identificano tout court con il loro lavoro fino a perdere irrimediabilmente la possibilità di relazioni affettive e sentimentali solide e soddisfacenti. Inutile sottolineare che in questa scelta di concentrazione delle tensioni e di contrazione degli spazi Pommerat si trova in buona e numerosa compagnia, dal Čechov da lui stesso citato a tanto teatro più recente, noto e meno, magari con un pizzico di leggerezza ed ironia a fare la differenza.
Cambiano le epoche e cambiano i personaggi – e in questi mutamenti sono davvero bravi gli attori, ciascuno con il proprio doppio, diverso nella mimica, nei timbri vocali, nella psicologia rappresentata – cambiano le motivazioni – da quelle forti e convincenti che si coagulavano nel valore aggiunto del lavoro di squadra a quelle falsamente buoniste che fanno leva sull’autodeterminazione del proprio destino e sullo spiccato individualismo contemporaneo – ma la sostanza è immutabile.
Il processo economico in atto, in base al quale “senza commercio e senza vendita non c’è vita”, alla fine impoverisce l’uomo, lo lascia solo con il suo dolore privato, senza nemmeno il paracadute della rete amicale ad attutire la caduta. Sarà banale, sarà ovvio, ma ancora funziona così, ancora le leggi del mercato governano il mondo globalizzato.