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Enzo NATTA- Chi vivrà vedrà (“Il tocco del peccato”, un film Jia Zhangke)





Lo spettatore accorto

 


CHI VEDRA’ VEDRA’

Locandina Il tocco del peccato

 

“Il tocco del peccato”, un  film  Jia Zhangke

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“Deciderà il mercato”. In questa secca formula che assomiglia a una parola d’ordine si concentra e si riassume il senso del Terzo plenum del 18° Comitato centrale del Partito comunista cinese svoltosi a metà novembre a Pechino. Una specie di “chi vivrà vedrà” che si profila come la logica conclusione della piena rivincita assaporata da Deng Xiaoping nel 1978, quando, riapparso inaspettatamente sulla scena politica, poteva togliersi la soddisfazione di far ingoiare il rospo ai suoi oppositori invertendo la rotta fino a quel momento seguita e facendo saltare il banco con l’introduzione dei principî del capitalismo in un sistema radicalmente socialista. Famosa, a questo proposito, la sua frase che spiegava in soldoni come la cosa importante non fossero le teorie dottrinarie ma lo sviluppo e la crescita del Paese: “l’abilità del gatto si valuta non dal colore del suo manto ma dal numero di topi che acchiappa”.

Di questa trasformazione il cinema cinese aveva dato segni attraverso film come Togheter with you di Chen Caige, dove la vicenda di un giovane musicista, diventato violinista provetto grazie alla guida di un moderno maestro innovatore senza però mai venir meno al dovuto rispetto nei confronti del vecchio padre tradizionalista, si faceva simbolo della conciliazione fra presente e passato assumendo i contorni di una metafora sul profondo e positivo cambiamento impresso dalla nuova politica economica. Che comunque non doveva dimenticare quanto di buono, e a costo di tanti sacrifici, era stato fatto in precedenza.

Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte, cosa che non fa Il tocco del peccato di Jia Zhangke, dove l’aggressività e l’arroganza di chi tira i fili della nuova politica economica fannno carta straccia di ogni presupposto ideologico traducendosi in un’aperta denuncia della svolta revisionista di Deng Xiaoping. E, di conseguenza, del Terzo plenum e delle sue conclusioni.

Nel Tocco del peccato si intrecciano quattro storie, quattro vicende ispirate a fatti di cronaca nera imperniati sul cambiamento epocale che ha investito la Cina: una riflessione sul volto della Repubblica Popolare di questi ultimi tempi, radiografia di un gigante dell’economia corroso dalla ricerca del profitto, un cancro che divora ogni residuo di protezione ideologica e morale provocando una diseguale distribuzione del benessere fino a creare una insanabile disparità fra ricchi e poveri e, di conseguenza, il dilagare di una criminalità che porta con sé la macchia del peccato originale.

Quattro storie simili, si diceva, quattro storie parallele: un operaio si ribella alle prepotenze del nuovo gestore della miniera in cui lavora e cerca inutilmente di denunciarne le malefatte; un uomo tornato a casa per festeggiare il capodanno scopre nell’uso della pistola automatica il sistema più sbrigativo per risolvere ogni problema che incontra; una ragazza che lavora in una sauna è oltraggiata e offesa da un ricco cliente; un giovane non resiste alla sofferenza causata dall’aver cambiato paese e lavoro per sottrarsi al pagamento di un debito ritenuto ingiusto.

Fatti realmente verificatisi in anni recenti e tutti conclusisi tragicamente, che trovano il comune denominatore nel repentino passaggio da un regime collettivista a un altro di libero mercato, così brusco da generare  forti disparità sociali, flussi migratori incontrollati, conflitti di lavoro, vessazioni e privilegi. E dove inadegute informazioni, mancanza di accordi e mediazioni, hanno esasperato l’interesse individuale a scapito della solidarietà di gruppo.

Notizie contraddittorie circolano sulla sorte riservata in patria al film di   Jia Zhangke. E’ riuscito ad arrivare sugli schermi forte del “palmarès” per la miglior sceneggiatura a Cannes 2013? Oppure si è impigliato nelle maglie della censura? Nel caso di un via libera bisognerebbe riconoscere che, rispetto a qualsiasi altro Paese a regime autoritario, la Cina attuale gode di una libertà d’espressione che neppure il cinema jugoslavo degli anni ’60-’70 aveva conosciuto. Valga per tutte la scena in cui le ragazze del bordello di lusso si presentano ai clienti: al suono dell’Internazionale e indossando le divise della gioventù comunista.

Coraggioso, controcorrente, Il tocco del peccato (dove il peccato ha il volto del deviazionismo) attribuisce al libero mercato, alle leggi del profitto e della concorrenza tutti i mali di cui soffre oggi la Cina: processo di globalizzazione, gigantismo industriale, infiltrazioni malavitose nell’economia, inquinamento, sfruttamento del lavoro, corruzione,  prevaricazione e prepotenza delle nuove classi dirigenti. Ma ciò che colpisce di più è l’assenza di ogni forma di autorità, è la mancanza di funzionari statali, di rappresentanti della legge, delle istituzioni, del partito, sostituiti da ras locali, boss di stampo mafioso,  criminali che fanno il bello e il cattivo tempo.

Stilisticamente asciutto e lineare, nitido e tagliente, dotato di tensione narrativa e di tenuta ritmica, Il tocco del peccato si avvale di una regia tersa, capace di pennellate sapienti e di fulminee impennate. Un film che manifesta la miglior qualità nel raccontare dall’interno una storia più grande dei personaggi che mette in scena. Oscuri protagonisti di un dramma collettivo sul quale aleggiano i torvi fantasmi di un’identità perduta.