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Angelo PIZZUTO- Alle estremità del teatro accessibile (“Still life” di ricciforte all’Argentina di Roma)


Il mestiere del critico


ALLE ESTREMITA’ DEL TEATRO ACCESSIBILE

Still Life 2013 (photo: Daniele e Virginia Antonelli)

 

Note su “Still life” di Ricci\Forte    Rassegna Il Garofano Verde al Teatro Argentina

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Roma-    Sussultoreo, temerario,  plausibilmente  aggressivo. Anche per chi, come noi, trascorse il  suo  apprendistato critico fra le stanze del Beat ’72,  a lezione fra le crudeli metafore leggendarie(di Giuliano Vasilicò)  ), l’onnipresente Camion  ( di Carlo Quartucci) e i congestionati dadaismi del Circolo La Fede (di Nanni e Perlini). Supervisionati da un Carmelo Bene, ancora indeciso fra le incontinenze urinarie di “Pinocchio”  e cavernosi virtuosismi d’ugola che ebbero la meglio.

Tutti e comunque contro la legge del più forte. Che in genere è anche il più ottuso,  spaccone,sentenzioso. Dunque contro ogni tipo di intolleranza omofobica,  razziale gabellata per  etnica fierezza e maschilistica muscolatura di nervi, di ‘palle’, di cuore.  Con “Still life” (che a noi piace liberamente tradurre in ‘condizione umana’) Stefano Ricci e Gianni Forte celebrano, al Teatro di Argentina  di Roma, i vent’anni della rassegna Garofano verde (ideata e diretta da Rodolfo Di Giammarco, posta in liquidazione dall’ex giunta Alemanno) mediante uno  spettacolo  in palese  fase di rodaggio (v’è qualche  scollamento fra  linguaggi e simbologie) , ma da cui già si evince una determinazione,un mosaico di tensioni espressive misturate in un diagramma teatrale che rifugge dall’invettiva e dalla semplificazione commiserevole.

Snodato, slegato, sbalzante tra happening, performance  e ‘libro bianco’ (documentato, esternato a voce alta) sulle vittime dell’intolleranza in materia di orientamento sessuale, “Still  life” affronta a viso aperto la   peste   della discriminazione omo\etero (mediante ipocrisia e bullismo),  ponendo i suoi attori  ( Anna Gualdo, Giuseppe Sartori, Fabio Gomiero, Liliana Laera, Francesco Scolletta) al centro di una ‘genetiana’ cerimonia  che è omaggio a Davide: il  giovane adolescente romano che (deriso dai coetanei) si è tolto la vita, due mesi fa,  impiccandosi con  una sciarpa color rosa che qui ha l’ambivalente tonalità del rimorso (per la vittima sacrificale)  e della volontà  di non volgere (più) l’altra guancia.

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Tema    forte e che non lascia spazio all’indifferenza, specie quando all’assemblaggio rovente e fantasioso delle metafore sceniche (teatro della crudeltà al tempo del pop, con sevizie nerborute, fiotti di sangue che sembra vero, testoline   a forma di nonna-papera, genere horror di Stephen King, candoli di proscenio a sbarrare l’accesso alla verità dei fatti)  si accompagna ai nomi, scritti e trascritti, della lunga stele di chi (per orgoglio e dignità identitaria) ci ha già rimesso la vita e la giovinezza. Si comincia da  scritte  cubitali alle spalle degli attori,  si finisce  con  piccole sigle  impresse  su una lavagna dagli stessi spettatori che scelgono di andare sul palco a rendere gesti di testimonianza e d’amore: ciascuno dedicando quel nome o vezzeggiativo a chi meglio crede e che ora non c’è più.  Anche se è vivo, ma sbriglia verso nuova conoscenza “da quando  m’ero fatto tuo credendo di tenerti  vicino\ pensando che bastasse ad entrambi” (e qui la pena d’amore non ha genere, né discernimento) o ci si “nasconde non per vergogna\ma perchè sai che della tua paura non v’è niente che  si debba spettacolarizzare”

La parola,il dialogo (accuratamente scritti, secondo un ritmo poetico che rimanda alla generazione ‘on the  road’), hanno un peso specifico maggiore e irrefutabile, rispetto alle precedenti esperienze di Ricci e Forte, comunque considerati l’emergente  punta d’eccellenza del teatro di ricerca in Italia- proprio in ragione di quello che ascoltano le nostre orecchie e  che i gesti, ‘empiamente’  provocatori,  rendono  ‘necessari ‘ all’economia dello spettacolo.  Il cui scopo e ambizione sono ben conficcati nel senso della coralità e del pubblico coinvolgimento. Sino ai momenti più scontati, ma teatralmente efficaci ,come quando si chiede ad alcuni spettatori di baciare in bocca gli attori e palesare  le proprie inclinazioni sessuali – “poiché la morte non  nasce dalla vergogna ma  dall’assenza di rispetto”. O come quel  un corpo inerme,  preso a calci, calpestato,  maltrattato senza ritegno e senza che nessuno reagisca . Tanto ‘siamo a teatro ed è tutto finto’. …  tanto, al termine della ‘recita’, si torna all’omologazione (di ruoli, gerarchie,  funzioni) che è sigla socio-politica del turpe tempo italiano, ai bordi rosicchiati della democrazia formale.

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“Still life” ideato e diretto da Stefano Ricci e Gianni Forte. Con Anna Gualdo, Giuseppe Sartori, Fabio Gomiero, Liliana Laera, Francesco Scolletta. Roma, Teatro Argentina 25 giugno (in ripresa autunnale)