Enzo NATTA- Pesaro per noi…(si è conclusa la storica kermesse di cinema)



Rassegne


PESARO PER NOI….

Si è conclusa la storica kermesse di cinema

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Cile sulla cresta dell’onda. Sugli schermi italiani è uscito “No – I giorni dell’arcobaleno” di Pablo Larraìn, ricostruzione del referendum popolare che anticipò la caduta del generale Pinochet; al Salone del libro di Torino il Cile è stato l’ospite d’onore con un calendario fitto di incontri, primo fra tutti quello con Luis Sepulveda; al festival di Pesaro il pezzo forte della 49^ Mostra è stato dedicato alla retrospettiva sulla cinematografia cilena contemporanea con una personale di Sebastian Lelio, del quale si sono visti “La sagrada familia” (presentato al Festival di San Sebastian 2005 e vincitore di numerosi premi internazionali), “Navidad” (visto a Cannes 2009), “El año del tigre” (in programma a Locarno 2011) e “Gloria” (tra i più applauditi a Berlino 2013, ritratto di una donna che vive come un’adolescente, ferma nel tempo, facilmente identificabile nel Cile traumatizzato dall’esperienza di Pinochet), tutte opere attraversate da contrasti che sconvolgono armonie familiari, aspri dissensi e conflitti generazionali, fughe non soltanto simboliche ma rappresentative di un disagio generale e specchio di una tensione politica e sociale  che si riverbera su un’intera comunità alla ricerca dell’equilibrio perduto.

“La sagrada familia” ha la struttura di un “film da camera” e ricorda l’impianto di “Teorema” di Pasolini: in una villa sul mare, durante le vacanze di Pasqua, arriva una ragazza che il rampollo di famiglia  presenta come la propria fidanzata. Da quel momento un radicale cambiamento sconvolgerà l’assetto dell’intero nucleo familiare e nessuno sarà più lo stesso di prima.

Situazione abbastanza simile in “Navidad”: vacanze di Natale, una coppia di giovani liceali conosce Alicia, una ragazza di sedici anni fuggita da casa. Una fuga misteriosa per un personaggio altrettanto misterioso, che in quell’incontro troverà l’antidoto per infrangere una comune solitudine. Dietro la quale non è fuori luogo intravedere l’isolamento vissuto sotto il regime della giunta militare.

La fuga come strumento per spezzare il cerchio di un isolamento morale è anche al centro di “El año del tigre”, storia di un uomo che, in seguito a un violento terremoto, riesce a fuggire dal carcere in cui sconta la sua pena. Tornato alla casa in cui abitava, scopre che lo tsunami conseguente alla violenta scossa sismica ha spazzato via la moglie e la figlia. Le scene di assoluta distruzione che da quel momento lo opprimono e sembrano non concedergli scampo diventano così lo specchio del suo animo e della sua condizione umana.

Il retaggio della dittatura militare di Pinochet, con le sue ombre e i suoi incubi ricorrenti, è anche al centro di “Dog’s Flesh” di Fernando Guzzoni, storia di un uomo prigioniero del proprio passato (faceva parte di una squadra di torturatori) e di rimorsi che si trasformano in fantasmi e ossessioni fino a soffocarlo.

Altri spettri angosciano il protagonista di “Life Kills me” di Sebastian Silva, un direttore di fotografia impegnato in un film horror. Un giovane sociopatico (tornano alla mente le follie liberatorie di Erasmo da Rotterdam e di Don Chisciotte) riuscirà a farlo uscire dal patologico guscio esistenziale in cui si è rinchiuso.

I demoni della coscienza emergono ancora da “Violeta went to heaven” di Andrés Wood, dove la Violeta del titolo è Violeta Parra, madre del folk latino-americano. Basato sulla biografia del figlio Angel, il film è il ritratto di una donna appassionata e contraddittoria in costante lotta con i suoi dubbi strazianti e i suoi conflitti interiori. Che sono quelli un intero continente.

Il Cile è stato soltantoè  la punta dell’iceberg nel denso programma della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema che si svolta a Pesaro dal 24 al 30 giugno e che avrà la sua tradizionale appendice a Roma grazie al- l’appuntamento con “I grandi festival” che si terrà a Piazza Vittorio nel mese di luglio. Un calendario che oltre ai film del concorso (opere prime e seconde da tutto il mondo) ha contemplato un evento speciale sul cinema sperimentale di casa nostra e un omaggio a quel “poligrafo” (scrittore di tutte le scritture, come amava definirsi), videoartista, esploratore di linguaggi che era Gianni Toti, autore fra l’altro di “…e di Shaul e dei sicari sulle vie di Damasco”, film-saggio sul rapporto messianeimo paolino, marxismo e utopia rivoluzionaria.

Ha aperto la Mostra “A long and happy life” del russo Boris Khlebnikov, ritratto della Russia rurale e di un sistema vessatorio dove lo Stato compra a poco prezzo appezzamenti di terreni appartenenti a piccoli proprietari terrieri che, sedotti dall’urbanesimo, aspirano a trasferirsi in città.

A seguire, nelle serate successive, i film che hanno partecipato al concorso, fra i quali spicca un’altra opera cilena, “The devil’s liquor” di Ignacio Rodriguez, in cui si ripete il tema (indubbiamente il problema si presenta in tutti gli angoli del mondo) di vecchi sistemi di produzione (in questo caso una fabbrica di alcolici) minacciati dalla modernità.

Tensioni sociali e scontri fra culture diverse anche in “Kayan” dell’iraniana naturalizzata canadese Maryam Najafi, che ambienta le difficoltà dell’immigrazione-integrazione nella comunità mediorientale di Vancouver.

Argomento simile in “Matei child miner” della romena Alexandra Gulea, con un ragazzo undicenne, Matei, rimasto in Romania con il nonno minatore mentre la madre si è trasferita in Italia.

Tra i film in concorso un paio di opere italiane: “Non lo so ancora” di Fabiana Sargentini, con Donatella Finocchiaro e Giulio Brogi, e “L’estate sta finendo” di Stefano Tummolini. Entrambi hanno per scenario una località balneare, ma se il primo ruota intorno a un incontro casuale che nell’arco di una giornata si contorna di rispetto, comprensione e complicità, il secondo sfocia in un violento diverbio che scoppia in un gruppo di amici e che si trasformerà in tragedia.

Altre sezioni hanno riguardato il cinema d’animazione russo con un omaggio, tutto femminile, alle registe di questo settore (Maria Muat, Natalia Dabizha, Irina Margolina e Ekaterina Skvortsova) e l’evento speciale dedicato alla più recente produzione sperimentale italiana: film di finzione, documentari, film d’animazione, generi diversi per esaminare tutte le possibili esplorazioni di nuove forme espressive. La proposta ha rivelato la sopresa di un vasto e composito universo, quasi sempre sotterraneo, che testimonia la presenza di una vera corrente di nuovo cinema italiano meritevole di un’indagine più ravvicinata e approfondita. Un’autentica esplosione di sperimentalismo indipendente, per lo più diffuso sulla sola rete, indice di un’insofferenza e di un’opposizione alle consuete forme di produzione-distribuzione  manifestatosi con l’avvento del digitale e destinato a proiettarsi in una trasformazione culturale che attraverso nuove ipotesi di elaborazione delle immagini e dei segni consentirà alla comunicazione audiovisuale di acquisire inediti linguaggi.