Presidenzialismi
L’ “UCRONIA”, CONDIZIONALE DELLA STORIA
Dibattiti e periodi ipotetici del terzo tipo
****
Presidenzialismo, semipresidenzialismo, cancellierato, elezione diretta del capo dello Stato e chi più ne ha più ne metta. Il dibattito sulle riforme istituzionali si è riacutizzato nelle discussioni sulla figura di un premier allineato con le altre democrazie occidentali e che possa disporre del decreto legge senza essere sottoposto al beneplacito del presidente della Repubblica.
L’inevitabile “querelle” che ne è conseguita ha spostato l’ago della bussola anche sul piano dell’indagine storiografica con studi e interventi che hanno esaminato questo aspetto focalizzando l’attenzione sulla Repubblica di Salò. Il teorema dell’ucronia ha facilitato il gioco. Che cos’è l’ucronia? E’ la scienza che riscrive la storia usando il condizionale, procedendo a furia di se, ricostruendo le vicende stpriche a base di ipotesi, formulando una storia virtuale e controfattuale, che nel 1876 il filosofo francese Charles Renouvier cercava di contrapporre allo storicismo hegeliano secondo il quale il tracciato della storia è uno solo e non si possono opporgliene altri. Insomma, una serie di varianti tipo quelle adottate da Philip K. Dick in The Man of the High Castle, in cui si immagina che le forze dell’Asse avessero vinto la guerra.
Su questo terreno si sono mossi anche giuristi e costituzionalisti partendo dal presupposto suggerito da Marc Bloch: “La storia è una scienza in divenire ed è per questo che è viva. Il suo oggetto fondamentale è il cambiamento”. Tra questi esperti in materia figura Primo Siena con La perestroika dell’ultimo Mussolini (Solfanelli. Chieti, 2022. Pagg. 284. € 19,00), che, come indicato nel sottotitolo “Dalla dittatura cesariana alla democrazia organica”, cerca di risolvere la scomoda e difficile equazione fascismo-democrazia attraverso i cambiamenti di rotta che svariati modelli di impostazione costituzionale impressero alla Repubblica Sociale Italiana. Una “provocazione” soltanto apparente, che si ammorbidisce e si spegne quasi subito quando si chiarisce il concetto dell’aggettivo “organico”, equivalente a “di totale partecipazione”, in altre parole riferentesi a un corporativismo ispirato alla dottrina sociale cristiana e alla Rerum novarum di Leone XIII, tale da coinvolgere pienamente ogni strato sociale e ogni categoria lavorativa nella guida e nel funzionamento dello Stato.
A sostegno e rinforzo della sua tesi Primo Siena dà voce ai fatti pubblicando in appendice il progetto di costituzione della Rsi di Carlo Alberto Biggini, a garanzia della cui validità l’autore chiama immediatamente a deporre un testimone non sospetto, ovvero un progetto di parte avversa stilato nel 1942 da Duccio Galimberti e da Antonino Repaci in previsione di un Ordinamento Confederale Europeo. Questo documento, sorprendente per l’identità di visuale con quello di Biggini, fu redatto per conto del Partito d’azione e del gruppo “Giustizia e libertà” e colpisce per il disegno di uno Stato corporativo dove il potere decisionale appartiene esclusivamente alle forze del lavoro. Altre “curiosità”, e affinità, riguardano la proibizione dello sciopero come arma di lotta, l’istituzione di una magistratura del lavoro (art. 168), la socializzazione delle imprese (art. 166) e l’abolizione dei partiti (art. 56). Norma, quest’ultima, che avrebbe incontrato la piena approvazione di qualche Masaniello di turno oggi presente sulla scena nazionale.
Il progetto di Biggini prevede una repubblica presidenziale dove la democrazia è un metodo e non un obiettivo, dove il parlamento è un organo di rappresentanza popolare eletto a suffragio universale e dove potrà finalmente realizzarsi quell’ “umanesimo del lavoro” profetizzato da Giovanni Gentile. Lo stesso che indicava i comunisti come “corporativisti impazienti”.
I progetti costituzionali della Rsi non si limitarono comunque al testo di Carlo Alberto Biggini (in cui si rivive lo spirito mazziniano della Repubblica Romana), ma comprende anche quelli di Vittorio Rolandi Ricci (il Socrate della Rsi secondo Ermanno Amicucci), imperniato su un semipresidenzialismo con controllo parlamentare, vera repubblica degli ottimati (sempre secondo Amicucci), e di Bruno Spampanato, che stilò un “appunto per il Duce” nel quale si elencavano i requisiti basilari per la futura Grande Assemblea Costituente, fra i quali l’abolizione delle nomine dall’alto, le votazioni a scrutinio segreto e l’esclusione di rappresentanza delle istituzioni padronali. Via libera, invece, ai partiti politici.
Dall’esame comparato di questi testi, nonché dai dibattiti che li precedettero e li accompagnarono si entra a pieno titolo nella “glasnost” (trasparenza) e nella “perestroika” (riforma) dell’ultimo Mussolini, ovvero in quel tentativo (molto tardivo peraltro) di rivedere l’assetto dello Stato e di avviarne la ristrutturazione. Primo Siena individua e sottolinea con cura e dovizia di argomentazione le fasi del processo che portò Mussolini dal cesarismo a un legato politico volto a una democrazia organica maturata attraverso una severa revisione critica del Ventennio, in cui non finirono mai di scontrarsi giacobini, libertari e tradizionalisti in camicia nera. Nella Rsi le tante anime del fascismo tornarono a riproporsi e a confrontarsi con maggior veemenza fino a confermare in pieno, e proprio in questa vivace contrapposizione, il suo carattere movimentista.
Libro di notevole impegno, La perestroika dell’ultimo Mussolini pone a più riprese l’accento sulla ventata di revisione/innovazione che soffiò sulla Rsi, brevemente e intensamente vissuta in una ricerca di identità capace di esprimere una palingenesi autenticamente rigeneratrice. Questo aspetto è il lato più stimolante del volume, esempio di saggistica “politicamente corretta”, profondità di indagine e contributo a una ricerca storica che faticosamente comincia a staccarsi dalla passione di parte per pensare e operare fuori dal pregiudizio.